venerdì 19 settembre 2014

QUEL CIELO COSÌ BIANCO... (Tutti gli incubi di Andrea Pazienza)

LestoLibri

QUEL CIELO COSÌ BIANCO... 
(Tutti gli incubi di Andrea Pazienza)

Aficionados belli&bravi, 
bentrovati al venerdì letterario con LestoLibri. Oggi, dopo tanti giganti della penna, oggi si parla di un gigante della penna e della matita, colui che riteniamo essere il più grande fumettaro di tutti i tempi. 
E l'appellativo "fumettaro", sia chiaro, noi lo usiamo con tutto l'orgoglio e l'ostinazione possibili, proprio perché di solito lo si usa in senso denigratorio, per distinguere la cultura alta (romanzi, poesie e via dicendo) da quella bassa (fumetti&affini). Per noi invece, che il fumetto è arte e letteratura al pari di un quadro e di un romanzo, fumettaro è appellativo di pregio. Specie in questo caso che, come già ricordato, parliamo del fumettaro sovrano, vale a dire l'immenso Andrea Pazienza, Paz per gli amici. 

Se qualcuno di voi amatissimi aficionados non lo dovesse conoscere, ve lo presentiamo brevemente. 
Il Paz, nato a San Benedetto del Tronto nel 1956, finito il liceo si trasferì a Bologna per frequentare il DAMS, che mollò a due esami dalla laurea. Ma a parte la laurea mancata, fu proprio in quegli anni che esplose il suo talento. Il vecchio Paz fu uno dei principali animatori dello splendido fermento culturale esploso a Bologna in seno al movimento del '77, assieme a Tondelli, Bifo, Freak Antoni degli Skiantos, le riviste "Cannibale" e "Frigidaire". 
Per quanto refrattario e insofferente alle scadenze delle riviste, in questi anni disegna tantissime copertine, manifesti cinematografici e pubblicitari, cover di dischi, firma decine e decine di soggetti per brevi storie a fumetti. 
Sempre di questi anni la creazione di due tra i suoi personaggi più celebri, lo studente fuori sede Penthotal (alter ego dell'artista) e il cattivissmo ripetente Zanardi, cui Paz dedicherà un intero ciclo di storie. 
Nel 1984 si ritirò a vivere a Montepulciano, lontano dallo stress e dalle frenesie cittadine. Qui continuò a scrivere e a disegnare, dando vita, nel 1987, a quello che riteniamo essere il suo capolavoro assoluto, il romanzo a fumetti Pompeo
Nel 1988, a giugno, a soli trentadue anni, il vecchio Paz se n'è andato da questo mondo. Forse per overdose d'eroina, forse per qualcos'altro di mai chiarito. Ma non ci interessa. A noi interessa che, per fortuna, il Paz c'è stato lasciandoci un partimonio inestimabile di capolavori. Così come ci interessa che no, non è affatto giusto morire a 32 anni. 
Sempre in tema di presentazione, per chi non lo sapesse ricordiamo che l'appellativo con cui vi si chiama su questo blog, "aficionados", è il particolare modo che ho io, sottoscritto lestoscrivente, di omaggiare ogni santo giorno il vecchio Paz, visto che aficionados era il mondo con cui chiamava affettuosamente i suoi lettori. 

Pompeo, si diceva. Un capolavoro assoluto, senza dubbio e senza troppo da aggiungere.
Questo romanzo-fumetto è senz'altro uno dei vertici assoluti non solo dell'arte grafica, ma anche della letteratura dell'intero novecento. 
Se le tavole, realizzate in una maniera particolarissima (disegnate a penna su fogli a quadretti che in stampa Paz volle mantenere così - le quadrettature sono più che visibili, nel libro), sono il vertice e la summa di un genio assoluto nell'evocazione visiva per immagini, quest'opera è anche scritta in un modo sconvolgente. 
Lo scrisse ad Ascona, in Svizzera, dopo aver visto la sua fidanzata storica finire tra le braccia di un suo grande amico, dopo aver visto il suo migliore amico morire di overdose, durante uno dei suoi tanti - fallimentari - tentativi di disintossicazione, dopo essere stato una rock star del movimento del '77 e dopo aver deciso di vivere in luoghi assolati per riannodare le fila della sua esistenza breve e intensa, capirsi e cercare di uscire dal tunnel delle droghe. 
Parla proprio di eroina, Pompeo, dell'inferno tossico di un artista senza più un centro nella sua vita. 

Visionario, apocalittico e intimista, ricchissimo di citazioni (da Bloch a Pasternak, da Shakespeare a Majakovskj), un flusso di coscienza degno del miglior Joyce, che sposa realismo e surrealismo, visioni e desolazioni, dove i piani del sogno e della realtà si mescolano annientandone reciprocamente i confini. 
Punk e borghese al tempo stesso, è un libro coraggioso, tragicamente sincero e spietatamente autobiografico. Qui Paz si mette a nudo mostrando tutta la sua fragilità, il suo tormento di uomo/artista/tossico/coglione. 
Un'autobiografia capace di diventare mitologia universale. 

Un libro travolgente da leggere assolutamente e da rileggere continuamente. 
La tentazione sarebbe quella di riempire questo post di citazioni di questa splendida e inarrivabile lezione di scrittura. Ma vorrei che lo leggeste e le scopriste da soli. 
Qui ne riporto una soltanto, una per tutte. 
Nel frenetico e allucinato delirio tossico in cui è immerso, il protagonista Pompeo ogni tanto, come un ritornello, si ferma, si frena, fruga nelle pieghe del delirio alla ricerca della pace e della contemplazione. Un attimo, un istante... e in quell'istante di pace ritrovata, questa serena contemplazione è sempre quel cielo così bianco... 

Leggetelo, questo libro. 
Leggete tutto ciò che Paz ha scritto e disegnato. 
Guardatelo anche voi, questo cielo così bianco... e poi, domandatevi: perché un'opera così immensa non si studia nelle scuole? 

Alla prossima,
IL LESTO 

Nelle precedenti puntate di LestoLibri: 





Boccardi, "Vite minime"/ Cavina, "I frutti dimenticati"/ Jovine, "Radiazione" 

Scrittori italiani sotto processo

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