RACCONTO DI LUGLIO
Ogni ultimo giorno del mese, qui su IL LESTO pubblichiamo un racconto, un lestoscritto più o meno inedito.
Si parte, in questo per nulla caldo 31 luglio, con una "storia minima", breve breve.
Speriamo vi piaccia, aficionados.
YVONNE VA IN RIVIERA
Yvonne non è bella e lo
sa. O almeno non ha addosso la bellezza che vorrebbe.
Vive in un
paesino minuscolo vicino Dresda e sa benissimo cosa cercano i maschi
italiani nelle ragazze tedesche in vacanza, lo sapeva prima ancora di
prendere l’aereo e mettere piede in riviera, in quella minuscola
striscia di spiaggia sabbiosa tra Rimini e Bellaria.
Yvonne non ha gli occhi
azzurri e non ha i capelli biondi, non ha quelle gambe lunghe che gli
sguardi dei rivieraschi inseguono sorseggiando birre e campari, non
ha quei visi alti e fieri che incrociano il cielo e fanno il
solletico alle nuvole. Yvonne ha capelli sottili e castani, occhi
scuri, fianchi troppo larghi e troppa carne nelle cosce. È timida
Yvonne, non sa ammiccare, imprigionare desideri antichissimi con lo
sguardo, esibire arcaici poteri matriarcali in elementari danze di
corteggiamento. Conosce l’italiano ma non sa nulla del linguaggio
del corpo. Eppure vorrebbe l’amore, vorrebbe un uomo che la
ascoltasse, un uomo cui raccontare gli inverni tristi di Dresda, la
sua infanzia in bianco e nero nel crepuscolo della Germania Est. Cose
che non interessano nessuno insomma, tanto meno gli uomini italiani
ad agosto in riviera.
E allora, se non proprio l’amore, vorrebbe
almeno una storia estiva da riportarsi a casa a settembre, una notte
di sospiri con cui riscaldare le domeniche d’inverno, una gonna
colma di desideri impauriti e frementi da stirare con rimpianto.
Ma nessun uomo l’ha mai
avvicinata nelle lunghe notti di quelle estati gonfie e traboccanti
di passioni, nessun uomo le ha chiesto di riaccompagnarla, di
seguirla in spiaggia o in macchina. Mai, dai primi anni trascorsi in
riviera, quando aveva appena diciott’anni e veniva con la madre,
fino ad ora, che di anni ne ha venticinque e da sola prende l’aereo
e prenota la pensione e l’ombrellone.
Però, per motivi che
nemmeno lei sa spiegare a se stessa, Yvonne ha amato da subito
l’Italia, e da subito ha preso a vagheggiare di venirci a vivere
prima o poi, proprio lì, in quella minuscola striscia di terra tra
Rimini e Bellaria, così diversa dalla neve del suo paesino a
venticinque chilometri da Dresda. Per questo ancora torna ogni anno,
ad agosto, nella stessa pensione di sempre.
E poi c’è quel gruppo
di ragazzi e ragazze, quelli che organizzano le feste sulla spiaggia,
i falò, le grigliate, le serate a tema. Quelli con cui da un paio
d’anni ha l’illusione di ritrovarsi, anche se in fondo nessuno
l’aspetta.
E infine Davide, il più
bello di tutta quella chiassosa compagnia, il più bello e, fra
tutti, l’unico che in due anni non le ha mai rivolto parola. Il più
bello, d’inverno laureando in scienze farmaceutiche e d’estate dj
e animatore delle notti in spiaggia tra Rimini e Bellaria. Il più
bello, eletto da Yvonne, senz’altra ragione se non il colore
olivastro della pelle, grande amore della sua vita.
Quest’estate Yvonne
stava per dichiararsi. Una cena, tutta la compagnia stipata nel retro
di una pizzeria sul mare, l’addio all’estate già presente nel
vento fresco del nord. Ma le sue labbra avevano tremato e aspettato
troppo, i battiti del cuore avevano fatto troppo rumore e ogni
possibile parola le era morta in bocca.
“Ciao, all’anno
prossimo…”, le aveva detto Davide distratto, senza guardarla
negli occhi, senza un abbraccio, senza nemmeno il bacio di rito sulla
guancia.
Ciao, all’anno
prossimo.
Quelle parole tracciavano
una distanza immensa, un’eternità in cui convivere con un non
detto insopportabile.
Yvonne non se lo sarebbe
mai perdonato. Perché per lei non era colpa della scostanza di
Davide, della sua superficialità, della sua disattenzione alle
persone e al mondo, del suo arrogante egoismo. La colpa era solo sua,
di Yvonne, della sua timidezza, della sua mancanza di fascino, della
sua incapacità di vivere.
Così per saldare i conti
con se stessa Yvonne, appena tornata in Germania, prenota subito un
volo per l’Italia. Non per il prossimo agosto, ma per ottobre, al
primo week end lungo che il lavoro le concede. Yvonne arriva in
riviera un piovoso venerdì pomeriggio di ottobre, nemmeno un mese e
mezzo dopo quella cena disastrosa.
La riviera d’autunno è un altro
mondo. Le pensioni sono semivuote, le strade sgombre, ai chioschi
lungomare sostano gruppi sparuti e infreddoliti, smaniosi di saltare
il prima possibile su una macchina che li porti nell’entroterra.
Per l’immagine estiva, chiassosa e divertita che ha dell’Italia,
Yvonne potrebbe rimanerci male, riconsiderare davanti a quello
scenario desolato i suoi progetti di trasferimento. Ma non ha tempo
per le delusioni. Dal decollo all’aeroporto di Dresda il cuore le
esplode nel petto così forte che sembra scoppiare: non è per la
bellezza dell’Italia che è ripartita, ma per Davide, per dirgli a
ottobre quel che non ha avuto il coraggio di dirgli in agosto.
Ma venerdì Davide non lo
vede, così come non vede nessuno della sua compagnia. Aspetta sola
sorseggiando prosecco al solito chiosco lungomare per ore, nella
speranza di veder apparire qualcuno. Alle undici si decide a
telefonare a Federica, la ragazza del gruppo con cui è più in
confidenza. Viene a sapere che non arriverà nessuno. Sono tutti a
cena, e poi a una festa, a quaranta chilometri da lì, e Yvonne non
ha la macchina per raggiungerli. Si vedranno il giorno dopo.
Yvonne non si dispera, sa
aspettare e sa gustare il sapore dell’attesa. L’ha imparato da
bambina, quando tutto era razionato, dal cibo ai regali, e ogni
piccola cosa era una conquista al termine di un’attesa paziente e
silenziosa. In più si sogna meglio, ad aspettare. E Yvonne sogna
tutta la notte, immagini confuse di neve, di Nonno Inverno che arriva
dal camino, di cartoline colorate dei parenti dell’Ovest, di Davide
che entra dalla finestra per scioglierle i capelli.
Poi arriva sabato sera
finalmente, lo stesso chiosco lungomare, la stessa attesa
torturandosi le mani, lo stesso prosecco tra le mani, gli stessi
gruppetti di persone smaniosi di andarsene via. C’è solo più
vento e fa più freddo. I ragazzi del gruppo arrivano verso le dieci
e mezzo. Prima Federica, poi via via tutti gli altri. Davide è uno
degli ultimi ad arrivare. Yvonne ha un tuffo al cuore nel vederlo, e
quasi non ce la fa a salutarlo. Poi però raccoglie tutte le sue
forze, ha poche ore a disposizione e non vuole sprecarle un’altra
volta.
“Davide scusami, ma
avrei bisogno di parlarti”, gli dice tutto d’un fiato, in apnea,
senza nemmeno pensare che in due anni è la prima volta che riesce a
dirgli più di tre parole consecutive.
Lui all’inizio la
scruta, getta un occhio alla gonna appena sopra il ginocchio che
indossa. Poi volta subito lo sguardo, e finendo d’un sorso il suo
cocktail risponde: “Mi dispiace, adesso devo andare…me lo dici
un’altra volta”.
Parla tranquillo Davide, senza tentennamenti,
non un’increspatura nella voce.
Prima di rimanere di
ghiaccio e sconfitta, Yvonne ha ancora addosso una frase disperata da
spendere: “Ti prego, è importante…solo dieci minuti, poi io
domani parto”.
“Me lo dirai quando
torni allora, ok?”
E così Davide sparisce,
senza altre parole, dandole le spalle e incamminandosi verso il
parcheggio con altri due amici. Yvonne vorrebbe piangere e gridare,
il dolore che sente è simile a uno strappo violento proprio al
centro della pancia. Odia se stessa e un po’ finalmente inizia a
odiare anche lui. Qualche lacrima affiora silenziosa, Federica le
chiede se va tutto bene, lei risponde di sì, di non preoccuparsi, e
scansandola delicatamente con la mano se ne va da sola verso la
spiaggia. Nemmeno il tempo di riprendersi che quando torna al chiosco
sono tutti spariti, senza dirle niente, senza nemmeno avvertirla.
Sola come non mai in vita
sua, Yvonne inizia a bere un drink dopo l’altro, gettando ancora,
ogni tanto, uno sguardo verso la strada, sperando che qualcuno si
ricordi di lei e venga a prenderla. Ma non arriva nessuno finché,
alle undici passate, non compare al chiosco Tommy, un tipetto
scaruffato che ogni tanto ha visto assieme al resto della banda.
“Ma sono andati tutti
via?”, chiede Tommy.
Yvonne si guarda intorno stupita, quasi
incredula che lui l’abbia chiesto proprio a lei, che qualcuno si
sia accorto della sua esistenza.
Alla fine fa un cenno affermativo
col capo.
“Stronzi”, esclama Tommy, “stronzi che manco
rispondono al telefono…mica sai dove andavano?”.
No, Yvonne non
lo sa, e anche se lo sapesse non potrebbe raggiungerli.
Tommy bestemmia qualche
istante tra i denti, poi prende da bere e offre un bicchiere anche a
Yvonne. Lei, già ubriaca, accetta volentieri.
Nel freddo di quel sabato
sera lungomare attaccano a parlare.
Tommy non le piace e non
vuole piacergli, così parole e discorsi le vengono naturali e
continui, senza problemi e senza imbarazzi. Sbronza com’è, dopo un
po’ parla senza freni e racconta a Tommy, a questo semi sconosciuto
dall’aria sciatta e trasandata, pezzi della sua vita, Dresda, la
Germania, il suo primo amore, la passione per il mare e per la
riviera. La sua passione per l’Italia.
È tardi e fa freddo,
così Tommy le propone di continuare a parlare in macchina. Yvonne
accetta senza problemi. Fanno un giro, si allontanano dal mare,
divorano chilometri d’entroterra per poi fermarsi in una piazzola
d’una qualche ignota periferia. Parlano ormai da più di due ore
quando in un momento di silenzio la mano di Tommy, apparentemente a
caso e senza intenzione, si posa sul ginocchio di Yvonne. Il silenzio
continua, la mano resta lì e Yvonne ha un sussulto alla pancia.
Forse Tommy aspetta una sua reazione, forse lei dovrebbe fare
qualcosa, ma non sa bene cosa. È confusa, Tommy non le piace ma
forse non importa, aspettava quella mano, quella mano qualsiasi, da
troppi anni, e forse dovrebbe lasciarsi andare. In fondo potrebbe
essere bello e dolce, pensa Yvonne. Così risponde carezzando Tommy
sul viso, e lui allora le stringe il ginocchio con forza e la sua
mano s’infila tra le pieghe della gonna, su fino alle cosce. Con il
braccio rimasto libero le cinge le spalle e la bacia sul collo con
foga crescente, spingendola verso il finestrino. No, non è
esattamente la dolcezza che aveva in mente Yvonne. Vorrebbe chiudere
gli occhi, ma non ci riesce schiacciata come si trova tra il gelo del
finestrino e il viso di Tommy. Guarda fuori e non c’è il mare, non
c’è la spiaggia, non c’è la musica che arriva dai jukebox, ma
solo il buio d’una periferia che non conosce, solo i bagliori
improvvisi delle poche macchine che attraversano la statale.
Forse è così che
funziona e chissenefrega dei miei romanticismi da fotoromanzo, pensa
ancora Yvonne. Non è passione o voglia, ma è rabbia, rabbia pura
quella sensazione impetuosa che le monta allo stomaco in quel
momento. Ed è con rabbia cieca e improvvisa che risponde a quei baci
sgraziati, con rabbia che gli stringe il viso tra le mani, con rabbia
che gli sbottona i pantaloni e prende il suo sesso tra le mani, con
rabbia che si strappa via le calze. Proprio lei, Yvonne, che in vita
sua ha avuto solo un uomo, il fidanzato del liceo a cui si concedeva
senza guardarlo negli occhi, nella mansarda fredda e vuota dei suoi
genitori tra lenzuola sempre profumate di lavanda, adesso stringe tra
le mani il sesso di un ragazzo brutto e senza fascino che non
conosce, in equilibrio precario dentro una macchina minuscola, a
migliaia di chilometri da casa, nel buio d’una statale. Lo guida
dentro di lei con la stessa rabbia, come fosse una vendetta. Non sa
se vendetta contro Davide, contro se stessa o contro sua madre,
rimasta incinta a diciott’anni di un uomo che l’ha abbandonata ,
sua madre che l’ha cresciuta come se la vita fosse un gigantesco
senso di colpa, come se gli uomini fossero le creature più
spregevoli della terra. Sente dolore, ma non importa, è dolore misto
a piacere senza forma. E soprattutto ha deciso di vendicarsi e non si
fermerà.
Tutto quanto
finisce relativamente presto. Tommy la riaccompagna alla pensione, si
salutano in fretta e lui promette che la chiamerà. Non lo farà, ma
non importa, non importa davvero. Aveva solo bisogno di sentirsi
sporca, tutto qui. A sentirsi stupida e sbagliata avrà tempo nei
giorni che verranno, quando il telefono resterà muto e la casella
mail vuota.
Si sveglia la mattina
dopo con la testa che gira vorticosamente per i postumi della
sbronza. Le fanno male le gambe e sotto si sente bruciare. Paga in
fretta la pensione e si fionda nell’autobus per l’aeroporto. Dopo
il check in prende un analgesico e nausea e mal di testa piano piano
iniziano a svanire.
Prende posto in aereo, e
in attesa del decollo le prende un’improvvisa e gigantesca voglia
di casa. Voglia di neve e ghiaccio, delle doppie finestre, del vento
gelido di Danzica che per giungere fino a lei compie un tragitto
tortuoso e implacabile.
S’addormenta tra questi
pensieri confusi.
Al
risveglio è a Dresda.
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