giovedì 31 luglio 2014

YVONNE VA IN RIVIERA (racconto di luglio)

RACCONTO DI LUGLIO


Ogni ultimo giorno del mese, qui su IL LESTO pubblichiamo un racconto, un lestoscritto più o meno inedito. 
Si parte, in questo per nulla caldo 31 luglio, con una "storia minima", breve breve. 
Speriamo vi piaccia, aficionados. 


YVONNE VA IN RIVIERA

Yvonne non è bella e lo sa. O almeno non ha addosso la bellezza che vorrebbe. 
Vive in un paesino minuscolo vicino Dresda e sa benissimo cosa cercano i maschi italiani nelle ragazze tedesche in vacanza, lo sapeva prima ancora di prendere l’aereo e mettere piede in riviera, in quella minuscola striscia di spiaggia sabbiosa tra Rimini e Bellaria.

Yvonne non ha gli occhi azzurri e non ha i capelli biondi, non ha quelle gambe lunghe che gli sguardi dei rivieraschi inseguono sorseggiando birre e campari, non ha quei visi alti e fieri che incrociano il cielo e fanno il solletico alle nuvole. Yvonne ha capelli sottili e castani, occhi scuri, fianchi troppo larghi e troppa carne nelle cosce. È timida Yvonne, non sa ammiccare, imprigionare desideri antichissimi con lo sguardo, esibire arcaici poteri matriarcali in elementari danze di corteggiamento. Conosce l’italiano ma non sa nulla del linguaggio del corpo. Eppure vorrebbe l’amore, vorrebbe un uomo che la ascoltasse, un uomo cui raccontare gli inverni tristi di Dresda, la sua infanzia in bianco e nero nel crepuscolo della Germania Est. Cose che non interessano nessuno insomma, tanto meno gli uomini italiani ad agosto in riviera. 
E allora, se non proprio l’amore, vorrebbe almeno una storia estiva da riportarsi a casa a settembre, una notte di sospiri con cui riscaldare le domeniche d’inverno, una gonna colma di desideri impauriti e frementi da stirare con rimpianto.

Ma nessun uomo l’ha mai avvicinata nelle lunghe notti di quelle estati gonfie e traboccanti di passioni, nessun uomo le ha chiesto di riaccompagnarla, di seguirla in spiaggia o in macchina. Mai, dai primi anni trascorsi in riviera, quando aveva appena diciott’anni e veniva con la madre, fino ad ora, che di anni ne ha venticinque e da sola prende l’aereo e prenota la pensione e l’ombrellone.

Però, per motivi che nemmeno lei sa spiegare a se stessa, Yvonne ha amato da subito l’Italia, e da subito ha preso a vagheggiare di venirci a vivere prima o poi, proprio lì, in quella minuscola striscia di terra tra Rimini e Bellaria, così diversa dalla neve del suo paesino a venticinque chilometri da Dresda. Per questo ancora torna ogni anno, ad agosto, nella stessa pensione di sempre.

E poi c’è quel gruppo di ragazzi e ragazze, quelli che organizzano le feste sulla spiaggia, i falò, le grigliate, le serate a tema. Quelli con cui da un paio d’anni ha l’illusione di ritrovarsi, anche se in fondo nessuno l’aspetta.

E infine Davide, il più bello di tutta quella chiassosa compagnia, il più bello e, fra tutti, l’unico che in due anni non le ha mai rivolto parola. Il più bello, d’inverno laureando in scienze farmaceutiche e d’estate dj e animatore delle notti in spiaggia tra Rimini e Bellaria. Il più bello, eletto da Yvonne, senz’altra ragione se non il colore olivastro della pelle, grande amore della sua vita.

Quest’estate Yvonne stava per dichiararsi. Una cena, tutta la compagnia stipata nel retro di una pizzeria sul mare, l’addio all’estate già presente nel vento fresco del nord. Ma le sue labbra avevano tremato e aspettato troppo, i battiti del cuore avevano fatto troppo rumore e ogni possibile parola le era morta in bocca. 
“Ciao, all’anno prossimo…”, le aveva detto Davide distratto, senza guardarla negli occhi, senza un abbraccio, senza nemmeno il bacio di rito sulla guancia.
Ciao, all’anno prossimo.
Quelle parole tracciavano una distanza immensa, un’eternità in cui convivere con un non detto insopportabile.

Yvonne non se lo sarebbe mai perdonato. Perché per lei non era colpa della scostanza di Davide, della sua superficialità, della sua disattenzione alle persone e al mondo, del suo arrogante egoismo. La colpa era solo sua, di Yvonne, della sua timidezza, della sua mancanza di fascino, della sua incapacità di vivere.

Così per saldare i conti con se stessa Yvonne, appena tornata in Germania, prenota subito un volo per l’Italia. Non per il prossimo agosto, ma per ottobre, al primo week end lungo che il lavoro le concede. Yvonne arriva in riviera un piovoso venerdì pomeriggio di ottobre, nemmeno un mese e mezzo dopo quella cena disastrosa. 
La riviera d’autunno è un altro mondo. Le pensioni sono semivuote, le strade sgombre, ai chioschi lungomare sostano gruppi sparuti e infreddoliti, smaniosi di saltare il prima possibile su una macchina che li porti nell’entroterra. 
Per l’immagine estiva, chiassosa e divertita che ha dell’Italia, Yvonne potrebbe rimanerci male, riconsiderare davanti a quello scenario desolato i suoi progetti di trasferimento. Ma non ha tempo per le delusioni. Dal decollo all’aeroporto di Dresda il cuore le esplode nel petto così forte che sembra scoppiare: non è per la bellezza dell’Italia che è ripartita, ma per Davide, per dirgli a ottobre quel che non ha avuto il coraggio di dirgli in agosto.

Ma venerdì Davide non lo vede, così come non vede nessuno della sua compagnia. Aspetta sola sorseggiando prosecco al solito chiosco lungomare per ore, nella speranza di veder apparire qualcuno. Alle undici si decide a telefonare a Federica, la ragazza del gruppo con cui è più in confidenza. Viene a sapere che non arriverà nessuno. Sono tutti a cena, e poi a una festa, a quaranta chilometri da lì, e Yvonne non ha la macchina per raggiungerli. Si vedranno il giorno dopo.

Yvonne non si dispera, sa aspettare e sa gustare il sapore dell’attesa. L’ha imparato da bambina, quando tutto era razionato, dal cibo ai regali, e ogni piccola cosa era una conquista al termine di un’attesa paziente e silenziosa. In più si sogna meglio, ad aspettare. E Yvonne sogna tutta la notte, immagini confuse di neve, di Nonno Inverno che arriva dal camino, di cartoline colorate dei parenti dell’Ovest, di Davide che entra dalla finestra per scioglierle i capelli.

Poi arriva sabato sera finalmente, lo stesso chiosco lungomare, la stessa attesa torturandosi le mani, lo stesso prosecco tra le mani, gli stessi gruppetti di persone smaniosi di andarsene via. C’è solo più vento e fa più freddo. I ragazzi del gruppo arrivano verso le dieci e mezzo. Prima Federica, poi via via tutti gli altri. Davide è uno degli ultimi ad arrivare. Yvonne ha un tuffo al cuore nel vederlo, e quasi non ce la fa a salutarlo. Poi però raccoglie tutte le sue forze, ha poche ore a disposizione e non vuole sprecarle un’altra volta.

“Davide scusami, ma avrei bisogno di parlarti”, gli dice tutto d’un fiato, in apnea, senza nemmeno pensare che in due anni è la prima volta che riesce a dirgli più di tre parole consecutive.

Lui all’inizio la scruta, getta un occhio alla gonna appena sopra il ginocchio che indossa. Poi volta subito lo sguardo, e finendo d’un sorso il suo cocktail risponde: “Mi dispiace, adesso devo andare…me lo dici un’altra volta”. 
Parla tranquillo Davide, senza tentennamenti, non un’increspatura nella voce.
Prima di rimanere di ghiaccio e sconfitta, Yvonne ha ancora addosso una frase disperata da spendere: “Ti prego, è importante…solo dieci minuti, poi io domani parto”.
“Me lo dirai quando torni allora, ok?”

E così Davide sparisce, senza altre parole, dandole le spalle e incamminandosi verso il parcheggio con altri due amici. Yvonne vorrebbe piangere e gridare, il dolore che sente è simile a uno strappo violento proprio al centro della pancia. Odia se stessa e un po’ finalmente inizia a odiare anche lui. Qualche lacrima affiora silenziosa, Federica le chiede se va tutto bene, lei risponde di sì, di non preoccuparsi, e scansandola delicatamente con la mano se ne va da sola verso la spiaggia. Nemmeno il tempo di riprendersi che quando torna al chiosco sono tutti spariti, senza dirle niente, senza nemmeno avvertirla.

Sola come non mai in vita sua, Yvonne inizia a bere un drink dopo l’altro, gettando ancora, ogni tanto, uno sguardo verso la strada, sperando che qualcuno si ricordi di lei e venga a prenderla. Ma non arriva nessuno finché, alle undici passate, non compare al chiosco Tommy, un tipetto scaruffato che ogni tanto ha visto assieme al resto della banda.

“Ma sono andati tutti via?”, chiede Tommy. 
Yvonne si guarda intorno stupita, quasi incredula che lui l’abbia chiesto proprio a lei, che qualcuno si sia accorto della sua esistenza. 
Alla fine fa un cenno affermativo col capo. 
“Stronzi”, esclama Tommy, “stronzi che manco rispondono al telefono…mica sai dove andavano?”. 
No, Yvonne non lo sa, e anche se lo sapesse non potrebbe raggiungerli.

Tommy bestemmia qualche istante tra i denti, poi prende da bere e offre un bicchiere anche a Yvonne. Lei, già ubriaca, accetta volentieri.

Nel freddo di quel sabato sera lungomare attaccano a parlare.
Tommy non le piace e non vuole piacergli, così parole e discorsi le vengono naturali e continui, senza problemi e senza imbarazzi. Sbronza com’è, dopo un po’ parla senza freni e racconta a Tommy, a questo semi sconosciuto dall’aria sciatta e trasandata, pezzi della sua vita, Dresda, la Germania, il suo primo amore, la passione per il mare e per la riviera. La sua passione per l’Italia.

È tardi e fa freddo, così Tommy le propone di continuare a parlare in macchina. Yvonne accetta senza problemi. Fanno un giro, si allontanano dal mare, divorano chilometri d’entroterra per poi fermarsi in una piazzola d’una qualche ignota periferia. Parlano ormai da più di due ore quando in un momento di silenzio la mano di Tommy, apparentemente a caso e senza intenzione, si posa sul ginocchio di Yvonne. Il silenzio continua, la mano resta lì e Yvonne ha un sussulto alla pancia. Forse Tommy aspetta una sua reazione, forse lei dovrebbe fare qualcosa, ma non sa bene cosa. È confusa, Tommy non le piace ma forse non importa, aspettava quella mano, quella mano qualsiasi, da troppi anni, e forse dovrebbe lasciarsi andare. In fondo potrebbe essere bello e dolce, pensa Yvonne. Così risponde carezzando Tommy sul viso, e lui allora le stringe il ginocchio con forza e la sua mano s’infila tra le pieghe della gonna, su fino alle cosce. Con il braccio rimasto libero le cinge le spalle e la bacia sul collo con foga crescente, spingendola verso il finestrino. No, non è esattamente la dolcezza che aveva in mente Yvonne. Vorrebbe chiudere gli occhi, ma non ci riesce schiacciata come si trova tra il gelo del finestrino e il viso di Tommy. Guarda fuori e non c’è il mare, non c’è la spiaggia, non c’è la musica che arriva dai jukebox, ma solo il buio d’una periferia che non conosce, solo i bagliori improvvisi delle poche macchine che attraversano la statale.

Forse è così che funziona e chissenefrega dei miei romanticismi da fotoromanzo, pensa ancora Yvonne. Non è passione o voglia, ma è rabbia, rabbia pura quella sensazione impetuosa che le monta allo stomaco in quel momento. Ed è con rabbia cieca e improvvisa che risponde a quei baci sgraziati, con rabbia che gli stringe il viso tra le mani, con rabbia che gli sbottona i pantaloni e prende il suo sesso tra le mani, con rabbia che si strappa via le calze. Proprio lei, Yvonne, che in vita sua ha avuto solo un uomo, il fidanzato del liceo a cui si concedeva senza guardarlo negli occhi, nella mansarda fredda e vuota dei suoi genitori tra lenzuola sempre profumate di lavanda, adesso stringe tra le mani il sesso di un ragazzo brutto e senza fascino che non conosce, in equilibrio precario dentro una macchina minuscola, a migliaia di chilometri da casa, nel buio d’una statale. Lo guida dentro di lei con la stessa rabbia, come fosse una vendetta. Non sa se vendetta contro Davide, contro se stessa o contro sua madre, rimasta incinta a diciott’anni di un uomo che l’ha abbandonata , sua madre che l’ha cresciuta come se la vita fosse un gigantesco senso di colpa, come se gli uomini fossero le creature più spregevoli della terra. Sente dolore, ma non importa, è dolore misto a piacere senza forma. E soprattutto ha deciso di vendicarsi e non si fermerà.

Tutto quanto finisce relativamente presto. Tommy la riaccompagna alla pensione, si salutano in fretta e lui promette che la chiamerà. Non lo farà, ma non importa, non importa davvero. Aveva solo bisogno di sentirsi sporca, tutto qui. A sentirsi stupida e sbagliata avrà tempo nei giorni che verranno, quando il telefono resterà muto e la casella mail vuota.

Si sveglia la mattina dopo con la testa che gira vorticosamente per i postumi della sbronza. Le fanno male le gambe e sotto si sente bruciare. Paga in fretta la pensione e si fionda nell’autobus per l’aeroporto. Dopo il check in prende un analgesico e nausea e mal di testa piano piano iniziano a svanire.

Prende posto in aereo, e in attesa del decollo le prende un’improvvisa e gigantesca voglia di casa. Voglia di neve e ghiaccio, delle doppie finestre, del vento gelido di Danzica che per giungere fino a lei compie un tragitto tortuoso e implacabile.
S’addormenta tra questi pensieri confusi.

Al risveglio è a Dresda. 

Riccardo Lestini - all rights reserved

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mercoledì 30 luglio 2014

FENOMENOLOGIA DEL ROMPICAZZO

LESTOrie. In diretta dal lestobunker.

FENOMENOLOGIA DEL ROMPICAZZO

Aficionados carissimi, rieccoci qui a scrivervi ovviamente in diretta dal lestobunker.
Sempre incasinati col trasloco e con la sistemazione della nostra nuova casetta a centinaia e centinaia di chilometri sottoterra, ma cominciamo finalmente a vedere la luce. Nel senso che non mi tocca più dormire in mezzo a ventisette scatoloni e, soprattutto, a dieci centimetri dagli sbuffi pestilenziali del Maiale Grasso e del tanfo di piedi del feroce punkabbestia Brando.

Ma com'è come non è, noi si continua a scribacchiare.
Precisamente ci va di affrontare la questione, spinosa e delicata anzicheno, di un'inquietante figura d'umanoide molto nota e temuta da tutto il mondo, nonché ulteriore e fondamentale motivo che ci ha indotti a intraprendere la strada senza ritorno dell'autoesilio.

Stiamo parlando del cosiddetto (o cosiddetta) ROMPICAZZO.

Chi è costui/costei? Quali i suoi tratti distintivi? Come riconoscerlo?
E, soprattutto, come evitarlo?
Procediamo con ordine.

1.ROMPICAZZO e ROMPICOGLIONI

Anzitutto, una premessa fondamentale: ROMPICAZZO e ROMPICOGLIONI (o rompipalle che dir si voglia) non sono assolutamente la stessa cosa, ma bensì due tipologie umane completamente diverse e distinte, sia nel modus operandi sia negli effetti collaterali che provocano nella psiche della vittima di turno.
Confonderle, scambiarle e sovrapporle, può avere conseguenze letali e devastanti.
Mettere in atto sistemi di difesa buoni per un rompicoglioni con un rompicazzo è non tanto inutile, quanto pericolosissimo e potenzialmente mortale.
Indi per cui è indispensabile, come prima cosa, imparare a distinguerli. Vediamo come.

A. Il rompicoglioni 99 volte su 100 NON SA DI ESSERLO. Agisce nella più assoluta inconsapevolezza, nella più totale ingenuità. In sostanza, non si rende minimamente conto di spaccare i coglioni. Anzi, generalmente il rompicoglioni ha un'altissima autostima, e si ritiene persona brillante e divertente, nonché consersatore scaltro e arguto.
Il rompicazzo invece è perfettamente consapevole della sua natura. Fiero di esserlo, lo fa non tanto per hobby, quanto per vocazione. Un autentico missionario armato della rottura di cazzo. Lui l'autostima non la trae da una percezione distorta di se stesso, ma dalla misura in cui riesce a tritare il cazzo dei malcapitati di turno. In definitiva: se non spacca il cazzo, cade in depressione.

B. Il rompicoglioni, in quanto ingenuo e inconsapevole, finisce spesso per essere un comico involontario. Può anche, in determinate situazioni e in determinati contesti, risolvere serate particolarmente noiose. Ovviamente senza accorgersene. Rompendo i coglioni a manetta e non rendendosene conto, suscita l'ilarità del resto del mondo trasformando così una serata moscia in un appuntamento divertentissimo. E a fine serata lui, il rompicoglioni, è ovviamente ancora più convinto del suo essere brillante e divertente.
Il rompicazzo non fa ridere. Mai. È persona aggressiva, feroce e temutissima, le serate spesso le rovina, facendo calare tensione e pesantezza in situazioni assolutamente rilassate. A volte, le serate vengono rovinate anche soltanto dall'annuncio della sua presenza, o del suo arrivo imminente. Infine, è così deciso, sicuro e orgoglioso nella sua violenza rompitrice di cazzi altrui, che in alcune persone gravemente malate e profondamente turbate da vagonate di traumi infantili, finisce per suscitare stima, ammirazione, fascino.

C. La rottura di coglioni è incidentale, la rottura di cazzo è premeditata.
Nel senso che il rompicoglioni generalmente non ti viene a cercare, ma si imbatte casualmente nella tua persona, e altrettanto casualmente inizia a farti a fette le palle. Può anche romperti i coglioni senza conoscerti e senza rivolgerti la parola, a distanza. Ad esempio, con suonerie del cellulare ridicole che squillano in continuazione in treno a volume altissimo mentre stai cercando di dormire.
Il rompicazzo è al contrario un predatore. Per esercitare la sua professione deve prima studiare contesto e personaggi che ne fanno parte. Il rompicazzo non ti è mai sconosciuto, ti aspetta, ti gira intorno e colpisce quando meno te lo aspetti.

D. Il rompicoglioni ha generalmente un aspetto bonario e rassicurante, il rompicazzo è truce e col ghigno satanico.
Un professore rompicoglioni ad esempio, è quello che si produce in sermoni interminabili e pesantissimi, conditi da battute che non fanno ridere nessuno. E ogni anno stabilisce il record di sfottò e soprannomi affibbiatigli dagli alunni.
Un professore rompicazzo è un sanguinario che tortura gli studenti traendone godimento e linfa vitale. Gli studenti lo temono e lo subiscono atterriti e terrorizzati, e durante le sue ore hanno continui attacchi di panico e scoppi ripetuti di colite spastico-nervosa.

E. Il rompicoglioni racconta malissimo le barzellette. Il rompicazzo non sa nemmeno cosa siano, le barzellette.


2.FENOMENOLOGIA DEL ROMPICAZZO

Chiarite queste essenziali differenze, che già ci forniscono una bussola essenziale per individuare il rompicazzo, scaviamo più in profondità e vediamo di mettere in evidenza ulteriori specificità fenomenologiche del soggetto in questione.

A.Fisicamente e/o esteticamente, il rompicazzo non è riconducibile a leggi certe. In genere (ma, ripetiamo, solo in genere), il rompicazzo non è sciatto, evidenzia forte personalità nel vestiario che indossa con cura ed eleganza. Dal punto di vista strettamente fisico, anche quando non bellissimo, sa comunque presentarsi bene. Un nerd, per intenderci, non potrà mai permettersi di essere un rompicazzo.

B.Il rompicazzo cammina sempre a testa alta e con la schiena assolutamente dritta. Fiero e impettito. Raramente abbassa lo sguardo e altrettanto raramente si mette a fissare qualcosa o qualcuno. Le vittime gli basta guardarle negli occhi per pochi istanti, poi il suo sguardo le oltrepassa e si dirige altrove, verso punti indistinti e indefiniti. Non ride ma sorride, sarcastico e superiore.

C.Il rompicazzo, oltre che consapevole, aggressivo, predatore, truce, ostile alla risata, ben vestito ed impettito, è anche un sadico attendista. Nel senso che la sua opera scientifica di rottura di cazzo non si manifesta mai, o quasi mai, a valanga e a getto continuo. Tutt'altro. Il rompicazzo può anche trascorrere molto tempo in silenzio o in uno stato di relativa tranquillità. Non fatevi ingannare, sta soltando aspettando il momento giusto per colpire. E il momento giusto per colpire è un qualsiasi appiglio, una parola casualmente pronunciata da voi o da qualcun altro dei presenti che fornisca al rompicazzo l'aggancio per portare il discorso dove vuole lui e, appunto, cominciare a rompere il cazzo.

D.Il rompicazzo, ricordatevelo sempre, non è un avventuriero. Di norma sa quello che dice e lo sa molto bene. Perciò, prima di cercare di sfidarlo su quel terreno pensateci bene, può essere molto pericoloso.

E.Ma quali sono gli argomenti prediletti dal rompicazzo? Anche in questo caso non ci sono leggi certe, i nostri studi dimostrano al contrario come potenzialmente si possa spaccare il cazzo su qualsiasi argomento possibile. Tuttavia, possiamo ragionare per grandi insiemi e individuare tre macro categorie di rompicazzo, senza dubbio più frequenti e numerose di tutte le altre:
-IL ROMPICAZZO POLITICO. La politica, quella attuale ovviamente ma in certi momenti pure quella passata, è il suo pane quotidiano. Qualunque pretesto sarà buono per portare il discorso sulle elezioni passate, sulla notizia di apertura del tg, sull'emendamento appena approvato, sulla crisi economica, sulle posizioni di questo o quell'altro partito, sulla vox populi in materia d'immigrazione clandestina, sugli affari esteri. Ti attirerà nella sua rete lasciando a te la parola, chiedendoti garbatamente cosa ne pensi di questo o di quell'altro. Ti ascolterà annuendo, intercalerà con qualche 'certo', 'chiaro' e via dicendo, e poi, quando tu avrai finito e sarai lontano da qualsiasi sospetto, lui partirà con la rottura di cazzo. Smonterà ogni tua singola parola citando decreti legge, interventi alla camera, percentuali, previsioni, stralci di saggi di economia politica, ti metterà all'angolo tempestandoti di domande alla metà delle quali non saprai rispondere. E se riuscirai a controbattere, lui citerà un episodio risalente al 1952 che smonterà di colpo quanto hai appena detto facendoti cadere in definitiva contraddizione. E sarai fottuto. Nel caso in cui sarete d'accordo, lui non ti mollerà lo stesso, incalzandoti con lo stesso diluvio di domande per chiederti conferma. E saranno domande assurde, impossibili, che evidenzieranno continuamente la tua abissale ignoranza. E sarai sempre fottuto.
-IL ROMPICAZZO CAPO. Non importa in quale settore, la caratteristica di questa categoria di rompicazzo è il comando, la volontà di metterti sempre in una posizione subordinata spiegandoti com'è che funziona il mondo. Sono quelli ad esempio che arrivano in cucina e dopo averti ronzato per un po' e averti chiesto cosa stai cucinando e come lo stai facendo, iniziano a spiegarti perché stai sbagliando, perché l'amatriciana sarebbe migliore se tu avessi comprato la pancetta da quello anziché da quell'altro, perché lo sformato sarebbe venuto più compatto se tu avessi diminuito di mezzo grado la temperatura del forno, perché inclinando maggiormente la padella l'olio fritto è meno dannoso per il fegato. Oppure sono quelli che arrivano quando hai appena comprato un computer, un cellulare o qualunque altro oggetto che iddio mette in terra, e ti spiegano perché hai fatto l'acquisto sbagliato, perché potevi spendere meno, perché l'altro modello è più affidabile, perché la prossima volta devi chiamarlo per farti consigliare.
-IL ROMPICAZZO PAZZO. È forse la categoria più pericolosa. Non importa quale sia il loro argomento di punta, il loro obiettivo è semplicemente darti torto sempre e comunque, essere in ogni caso in totale disaccordo con te. Le modalità con cui ti attaccano e ti mettono all'angolo sono identiche a quelle degli altri. La loro specificità si rivela nel momento in cui tu osi dargli ragione o, peggio ancora, dire qualcosa come “ok, mi hai convinto”. A quel punto vedrai il loro occhio iniziare a ballare pericolosamente e, nello spazio di un nano secondo, o cercheranno di spiegarti perché è impossibile che tu ti sia convinto oppure, peggio ancora, ribalteranno completamente la loro posizione ricominciando tutto da capo e ridandoti di nuovo torto. All'infinito.


3.COME SCONFIGGERE IL ROMPICAZZO

Purtroppo, nonostante fior fior di scienziati da decenni stanno cercando di isolare il virus del rompicazzo ed elaborare anticorpi e vaccini sicuri, i risultati a tutt'oggi sono scarsi e deludenti.
Con l'aggravante che il rompicazzo si riproduce a velocità supersonica. Tutto questo nonostante sia raro, rarissimo, che un rompicazzo si accoppi con una rompicazzo: si annullerebbero a vicenda e vivrebbero una vita di stenti e privazioni. Così, il fidanzato o il marito della rompicazzo, e la fidanzata o la moglie del rompicazzo, sono al 99% persone appartenenti ad altra tipologia, non semplicemente succubi e dimesse, ma soprattutto dotate di una soglia di sopportazione disumana (ma che al decimo anno di matrimonio o convivenza devono coesistere con un numero imprecisato di tic e spasmi muscolari involontari sparsi in tutto il corpo). In ogni caso, essendo il gene del rompicazzo incredibilmente forte, 99 volte su 100 queste coppie generano figli rompicazzo, con la conseguenza che il mondo è letteralmente invaso di rompicazzo.
Non essendoci quindi cure o armi per sconfiggerli e debellarli, siamo costretti a restare nel terreno dei semplici consigli. Consigli provvisori e assolutamente insufficienti, per di più.
Potete riconoscerli, ma ciò non vi impedirà di subirli.
Potete scappare ed evitarli, ma prima o poi vi troveranno.
Potete ignorarli, ma la vostra esasperazione prima o poi avrà la meglio, e cadrete nella trappola.

Perciò, aficionados carissimi, a questo punto avrete capito come ci sia un'unica soluzione per vivere finalmente una vita serena senza rompicazzo:
VENIRE DA NOI QUAGGIU' NEL LESTOBUNKER.
Le porte, come sapete, sono sempre aperte.
Ma attenzione, se siete rompicazzo, vi scateno contro Brando, il feroce punkabbestia.
E saranno cazzi vostri.

IL LESTO

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martedì 29 luglio 2014

SAN MATTEO RENZI DA RIGNANO


LestOpinioni



SAN MATTEO RENZI DA RIGNANO



La certificazione di miracoli effettivamente compiuti e il seguito di una folla adorante e invocante, sono da sempre le patenti imprescindibili per ogni processo canonico di santificazione.

Matteo Renzi da Rignano sull’Arno, protettore dei rottamatori, bruciando le tappe tra le macerie di un paese distrutto e impazzito, le ha già ottenute da tempo.

Per ciò che riguarda i miracoli, San Matteo ha compiuto imprese mirabolanti tipo la tramutazione del più antico conservatorismo nel nuovo che avanza, l’elezione a Premier senza elezioni, la cancellazione di quel poco di sinistra e socialdemocrazia ancora esistente, la sparizione di Bersani e, soprattutto, la moltiplicazione dei voti del PD.

Circa il seguito di folla invece, non si è nemmeno dovuto impegnare troppo. Gli è bastata l’Italia, la sua storia, la storia di un popolo sempre pronto a gettarsi ai piedi del capo di turno e a invocarlo a mani giunte come l’unico Salvatore possibile e onnipotente.



A questo punto, già santo acclamato e conclamato da tempo, incarnazione vivente del più compiuto potere forte sedicente democratico, San Renzi da Rignano può procedere ad ampie falcate verso il suo obiettivo supremo: distruggere la Costituzione e smantellare lo Stato democratico.



Un percorso a tappe serrate (Renzi ha sempre fretta, parla in fretta e va sempre di fretta) e necessariamente scandite da altri miracoli.



Primo fra tutti, l’illusione del fare.

In questi mesi di vita il governo del santo rignanese non è che abbia fatto cose sostanzialmente sbagliate. Semplicemente, farsa degli 80 euro in busta paga a parte, non ha fatto niente. Così come non ha fatto niente il precedente governo Letta e così come non ha fatto sostanzialmente niente il precedente governo Monti.

Ma tra il niente di San Matteo e il niente degli eretici predecessori, c’è una differenza abissale. Il profeta delle sponde dell’Arno, pur non facendo niente, fa tutto. Più presenzialista e logorroico di Papa Francesco, non passa giorno senza che San Renzi Premier non annunci strombazzando una riforma, un risultato clamoroso, una svolta epocale, un cambiamento storico, un’alba di rinascita nazionale.

L’Italicum, la riforma del Senato, la riforma della Pubblica Amministrazione, la rivoluzione della Pubblica Istruzione (tanto per citare solo le più importanti): tutte cose annunciate come già fatte, già realizzate con tanto di fanfare e tagli di nastri.

Poi nella sostanza non succede niente, non viene fatto niente e tutto viene continuamente rimandato, ma non importa, è proprio questo il miracolo.



Poi, la mistica dell’urgenza.

Il fare tutto senza fare niente non avrebbe questo impatto se non fosse condito, negli annunci e nelle dichiarazioni del Santo Premier, da una continua urgenza, da una costante questione di vita o di morte.

“O si fa l’Italicum o si muore”, “Su questo mi gioco l’osso del collo”, “Io ci metto la faccia” e via dicendo.

Senza un po’ di martirio, senza l’immolarsi per il bene comune, che miracolo sarebbe?



E, ovviamente, l’illusione del comando assoluto.

Il Santo deve essere solo, altrimenti la gente non lo segue. Così un Santo Premier deve essere solo al comando. Solo, forte e indistruttibile.

E San Matteo da Rignano non perde occasione di ribadirlo, questo suo comando assoluto, questo suo continuo dettare la linea. Ovunque. Si pensi, tanto per dire, all’autocelebrazione per il semestre di Presidenza dell’Unione Europea. Non importa che questo onere non sia elettivo, che a rotazione tocchi a tutti – Cipro compreso: il miracolo di San Renzi lo ha trasformato in un successo personale clamoroso, come se grazie a lui e alla sua credibilità l’Italia si sia presa l’Europa intera.

E soprattutto non importa che nella realtà dei fatti l’Italia, sullo scenario internazionale, sia completamente asservita alle potenze straniere, alla Germania in materia economica e agli Stati Uniti in materia militare e diplomatica.



C’è anche la logica del mistero.

Uno dei punti centrali del premierato di San Matteo è rappresentato dagli incontri con Silvio Berlusconi e dall’ormai celeberrimo patto con Forza Italia. Un patto che nella sostanza è una sigla assolutamente priva di contenuti. O meglio, i contenuti ci sono, ma non ci è dato sapere quali siano.

E va ovviamente bene così. Parliamo di miracoli, di fede, e l’alone di mistero è quanto mai necessario e imprescindibile.



Infine, i nemici.

Se un santo non viene ostacolato, attaccato, contestato, vilipeso, incompreso nelle sue illuminanti preveggenze, non vale niente.

Questo San Renzi da Rignano, che viene dall’Azione Cattolica e in logica dell’agiografia non deve imparare niente da nessuno, lo sa benissimo. Perciò, quando il miracolo del fare senza fare scricchiola e comincia a non reggere più, ecco uscire dal cilindro il miracolo dello scarico di colpe e responsabilità sui nemici, veri o presunti.

Un Santo Premier, ce lo insegna la storia, ha potenzialmente nemici ovunque: certo tra gli oppositori ma anche (forse soprattutto) tra gli alleati. San Matteo Nostro non fa eccezione, e non passa giorno senza bacchettare e minacciare di passare per la forca questo o quell’alleato dissidente, senza attaccare questo o quell’altro oppositore troppo zelante.



Nel caso in cui poi non ci sono, scontri zuffe e polemiche San Renzi li cerca o li crea ad hoc.

Così, quando finiranno le vacanze e a settembre gli verrà chiesto il conto di quanto fatto in circa otto mesi di governo e questo conto sarà in tragico passivo e registrerà uno zero assoluto alla voce riforme, San Matteo da Rignano potrà dirottare le colpe sui sabotatori, sui complottasti, sugli sciacalli della vecchia politica che lo hanno ostacolato e ingannato impedendogli di cambiare l’Italia.  



E gli italiani, che come sempre la storia ci insegna non vogliono cambiare le cose ma vogliono solo un leader supremo capace di fare la voce grossa e che dica di voler cambiare le cose, saranno dalla sua parte e torneranno a votarlo in massa.

Come alle europee e più che alle europee.



E a questo punto il miracolo sarà completo e San Matteo Renzi avrà finalmente la strada spianata per realizzare la sua Italia: un paese rifondato sul liberismo più sfrenato e becero, con servizi pubblici sempre più scadenti e con un privato più o meno qualificato in materia di istruzione, sanità e via dicendo cui solo i ricchi potranno accedere. Un paese dove servizi e industria saranno svenduti ai magnati internazionali per un piatto di lenticchie. Un paese impassibile e inutile sullo scacchiere internazionale.
Un paese ottusamente fiero di aver rottamato la democrazia.



IL LESTO



Per contatti, suggerimenti, recriminazioni, proposte di sequestro, scriveteci a:

lunedì 28 luglio 2014

il LestEditoriale. DONNE ANTIFEMMINISTE E ALTRE CATASTROFI


il LestEditoriale

DONNE ANTIFEMMINISTE E ALTRE CATASTROFI


Aficionados carissimi, buondì a tutti quanti voi direttamente dal lestobunker.



Quaggiù, a centinaia e centinaia di chilometri sottoterra dove ci siamo volutamente rintanati sette giorni or sono, mentre proseguono le complesse e incasinate operazioni di trasloco e arredamento, si discorre e si questiona sulla prima settimana di vita del blog. 

E discorrendo e valutando tra il serio e il faceto, il lusco e il brusco, il bau e il miao, siamo contenti dio bonino. Ma parecchio contenti, che in sei giorni sto blog ha avuto più di 800 visitatori, ché pure se non son numeri da edizioni Mondadori non son nemmeno noccioline. Anzi, ci paion tanti tanti, perciò grazie, aficionados, grazie grazie grazie.


E a proposito di visitatori, siccome i potenti mezzi di google ci permettono di visualizzare nel dettaglio la provenienza geografica di chi viene a leggiucchiare i nostri scarabocchi, ci fa particolarmente piacere che molti di voi ci seguano da fuori Italia
Ci piace tanto sapere ad esempio che ci leggiate dagli Stati Uniti (in 52, ‘azzarola!), dalla Spagna, dall’Inghilterra, dalla Germania… ma più d’ogni altra cosa, non se ne abbiano a male gli altri, ci ha strabiliato sapere che c’è tra di voi una persona che ci viene a trovare dall’Indonesia. Dall’Indonesia?? Ripetiamo, non se n’abbiano a male gli altri, ma capite che sta roba qua dell’Indonesia ci ha incuriositi, e parecchio. 
Perciò, caro lettore indonesiano, se sei ancora collegato con noi, palesati, scrivici, dicci chi sei!



E, ovviamente, oltre a bearci dei lestosuccessi del lestoblog, si guarda il mondo non da un oblò, ma dalla privilegiata postazione marziana di resistenza umana permanente e, invece di annoiarci un po’, ci si ragiona e si dice la nostra.

Che magari di sapere la nostra importa mica a nessuno, ma noi la diciamo lo stesso, altrimenti che resistenza permanente sarebbe?



Ordunque, tra le follie terrestri visualizzate e apprese questi giorni qua, quaggiù nel lestobunker ha attirato l’attenzione di tutti (mia e di tutta la lestobrigata dei lestoinquilini, compreso il Maiale Gigante), sta storia partita dagli States delle fanciulle antifemministe che si fanno i selfie con tanto di hastag a mo’ di slogan.

Ora, a colpirci e a stupirci anzicheno, non è tanto l’assurdità della cosa in sé (se gli operai votano da vent’anni Berlusconi, perché dovremmo stupirci che le femmine siano antifemministe?), né il contenuto grottesco degli slogan (alla stupidità siamo parecchio abituati, purtroppo).


Quel che ci colpisce è che sta notizia balza e rimbalza in continuazione e in ogni dove questi giorni, ma non è propriamente fresca di giornata. Anzi, a dirla tutta è parecchio stagionata. Vecchia di almeno un par d’anni.


Ma a parte che due anni fa non c’era il godimento di dire e scrivere selfie, ché ancora si chiamavano autoscatti e scrivere articoli intitolati “antifemminismo: dillo con un autoscatto” non è figo quanto “antifemminismo: dillo con un selfie”, a parte la contraddizione gigantesca rilevata da Il Fatto Quotidiano per cui se un paio di milioni di fanciulle possono oggi fotografarsi e lanciare una campagna d’opinione contro il femminismo, è proprio grazie ai diritti conquistati dal femminismo, ci pare chiaro come si tratti di una di quelle notizie da bosco e da riviera, per così dire, buona per tutte le stagioni in sostanza.

Come dire che ogni occasione è buona per ricordare alle femministe di tacere una volta per tutte, fare mea culpa, deporre le armi e ammettere che le loro battaglie hanno fatto più danni della grandine.



Non essendo io, sottoscritto lestoscrivente, femmina, non starò tuttavia a scrivere il perché e il percome ci sia ancora un colossale bisogno di femminismo nel mondo, un colossale bisogno di battaglia per una parità di diritti che a mio modesto parere sembra ancora lontana lontana. Molto meglio di me, lo scriveranno le dirette interessate. 


Volendo invece prendere il tutto più in assoluto che nello specifico, ed essendo il femminismo, in assoluto appunto, movimento di rivendicazione di diritti, autodeterminazione, spazi e indipendenza, dico che tutta sta storia qua delle women against feminism rientra nella gigantesca operazione di progressivo restringimento e colpi di machete scagliati su qualsiasi gruppo o movimento si muova in questa direzione, la direzione cioè della ricerca di spazi di dissenso, discussione, approfondimento, democrazia, diritti, sensibilizzazione. 

Un’operazione attiva continuamente e in maniera sempre crescente. Ma attiva in particolare d’estate, quando la superficialità di dibattito e informazione, che pure spopola quindici mesi l’anno, raggiunge i suoi picchi massimi



Allora via libera alla galleria di autoscatti, pardon, di selfie, dove milioni di giovani donne dicono “io non ho bisogno del femminismo”, senza soffermarsi su che cosa sia il femminismo, cosa sia stato e, soprattutto, cosa sia oggi e perché ancora oggi milioni di donne portano avanti determinate battaglie.

Basta il selfie, l’hastag e il messaggio comodo comodo che, se a farlo son milioni, ste femministe maledette qualcosa di male l’hanno fatto per forza. E che in chi spende il proprio tempo nella ricerca di un mondo migliore e non si accontenta di una società preconfezionata, le rotelle non sono propriamente a posto.  

Poi tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare. 
Ché l’estate ci si diverte, e i rompicoglioni non li vogliamo.

Tra l’altro, manco riescono mai a farsi un’abbronzatura decente.

Amen. 





Vi si ricorda, pour en finir, che sto blog-giornale o blog-rivista che dir si voglia, dopo una settimana di sperimentazione ha assunto un verso che, fino a nuovo ordine e nuova comunicazione, resterà sostanzialmente immutato. Per cui saremo attivi 7 giorni su 7, il lunedì con l’editoriale, il martedì con le LestOpinioni (approfondimenti su politica&attualità che però, se l’urgenza del momento lo richiede, possono pure raddoppiare in altri giorni della settimana), il mercoledì con LESTOrie (quisquiglie e pinzillacchere d’ogni ordine e grado), il giovedì con le LestoNote, venerdì coi LestoLibri e sabato con i LestoFilm. Per chiudere in bellezza con il Diario della Domenica.

E con questo è tutto, aficionados carissimi.

Ricordandovi che se commentate i nostri post non ci fate altro che piacere, vi diciamo che potete pure scriverci per sottoporci opinioni, bestemmie, insulti, suggerimenti e quant’altro, a questo indirizzo mail:




IL LESTO 

domenica 27 luglio 2014

GLI SMS HANNO SEMPRE UN PORNO CONTENUTO NASCOSTO

Diario della domenica


GLI SMS HANNO SEMPRE 
UN PORNO CONTENUTO NASCOSTO 

Magari oggi, aficionados carissimi, con Wahts App e compagnia bella – che quasi sempre trasformano il semplice servizio di messaggeria in una chat vera e propria, le cose sono cambiate.
Ma gli sms, quelli veri, originali, con il limite massimo di 250 caratteri che si mandavano coi telefonini di qualche anno fa (quando ancora, per intenderci, i telefonini si usavano per telefonare e non per mettere il pilota automatico o friggere le patate come ora), sin dalla loro comparsa sulla faccia della terra hanno sempre avuto un sottotesto ambiguo, un significato nascosto ammiccante e allusivo.
In due parole: come certe canzoni rock di un tempo contenevano un messaggio satanico sottotraccia, allo stesso modo gli sms hanno sottotraccia un inequivocabile significato porno.  
Specie se mandati da persone facenti parte della generazione del sottoscritto lestoscrivente, quelli per intenderci nati all'incirca alla metà dei settanta. 
Cerchiamo di capire e spiegare perché.

La mia generazione non è nata con gli sms. Non c'è nemmeno cresciuta. Quando è arrivata questa nuova e pazzesca forma di comunicazione eravamo già grandicelli, ventidue, ventitre anni o giù di lì.
Però ci siamo abituati al volo: tempo due mesi ed eravamo già tutti sms dipendenti, molto più delle generazioni successive, che hanno sempre guardato ai messaggini come a un semplice dato di fatto. 
Perché noi, a differenza loro, vivendo l'sms come una novità improvvisa, abbiamo saputo coglierne i prodigi più nascosti e reconditi. 

A conti fatti l'sms ha questo potere miracoloso: materializza un'ambiguità rassicurante
E noi, infarciti di catechismo e retaggi cattolici, senza saperlo aspettavamo l'sms dalla nascita: dalla nascita aspettavamo un mezzo di comunicazione che ci permettesse d'essere ambigui senza provare vergogna, senza sputtanarci, senza dover fare i conti col senso di colpa e del peccato.
L'sms permette, in maniera scritta (quindi senza l'impaccio della voce e degli occhi), di formulare frasi brevi che sanno dire tutto e il contrario di tutto, che mescolano pudore e sfacciataggine come nessun'altra cosa al mondo
Sei tu ma non sei tu. Dici questo ma non lo dici.  
n sostanza l'sms permette di formulare frasi al tempo stesso fortemente allusive e per niente allusive, che hanno una gamma di sottotesti che spazia dal "vorrei legarti e scoparti tutta la notte" al "cari saluti a te e famiglia".
Privati pressoché per tutta l'adolescenza di questo prodigioso marchingegno d'allusività d'ogni sorta, una volta scoperto ci siamo gettati a capofitto fino a restarne schiavi.
 
Forse è stata la frittata definitiva: già scissi e confusi di nostro dalla caduta del muro di Berlino, gli sms ci hanno definitivamente trasformato in un manipolo di rincoglioniti senza direzione, la generazione ambigua per eccellenza, sempre con un piede qua e l'altro là, sempre sospesa tra un "vorrei scoparti" e "tanti saluti a casa". 

IL LESTO

sabato 26 luglio 2014

... quando le persone sparivano nei garage... (GARAGE OLIMPO, di Marco Bechis, 1999)

LestoFilm


... quando le persone sparivano nei garage... 
GARAGE OLIMPO
di Marco Bechis (1999)


Cari aficionados,
visto che di giovedì si questiona di musica, il venerdì si ragiona di libri, ecco che il sabato non si può altro che discorrere di cinematografo. Al mio fianco, nell'ardua impresa, un altro fisso coinquilino del lestobunker, il prode scudiero Diego Armando, che è un alieno ed è interamente viola, dalla testa ai piedi. Ovviamente, com'è ormai marchio indelebile del lestobunker, anche la scelta dei film avverrà secondo il più assoluto e ferreo rigore del cazzo di cane che più ci si addice.

Rimandando ancora, a data da destinarsi, la kermesse di presentazione dettagliata dell'allegra brigata che vive qui a centinaia e centinaia di chilometri sottoterra, entriamo subito nel vivo della questione e presentiamo, di botto e senza troppi preamboli, la prima pellicola che si ha l'ardire di raccontarvi.

Trattasi di film risalente al crepuscolo del secolo scorso, anno 1999 di nostro signore, regia di Marco Bechis, titolo GARAGE OLIMPO, scelto da Diego Armando che, vistolo, sbiancò e si sorprese alquanto che sul pianeta terra, solo una trentina d'anni or sono, succedessero cose simili. Quando poi al buon Diego Armando ebbi l'ardire di dire che ste robe qua accadono ancor oggi, egli svenne, ma con la dignità che più gli è propria.

Il film è un autentico cazzotto sullo stomaco, un pugno alla mandibola e un calcio nei coglioni. Non necessariamente in quest'ordine, ma la sequenza rende bene l'idea, mi pare.
Glaciale, freddo, spietato.

Ambientato nel 1978 a Buenos Aires, ai tempi della dittatura militare di Videla, quella dei desaparecidos per intenderci, il film di Bechis ci racconta la storia di Maria, maestra 19enne e militante contro il regime, arrestata da un gruppo di militari in borghese e condotta in un campo di concentramento sotterraneo (uno dei trecento attivi a Baires all'epoca), chiamato in codice “Garage Olimpo”. Qui, nel garage/lager, Maria scopre che l'aguzzino che dovrà personalmente occuparsi del suo interrogatorio altri non è che Félix, timido e taciturno ragazzo di vent'anni, pensionante proprio in casa di Maria e, per di più, innamorato di lei.

Non aspettatevi però una ricostruzione filologica della tragedia della dittatura militare argentina. Quel che più ci piace di sto film qua è che non c'è pretesa di affresco storico, ma si concentra su una microstoria infinitamente piccola e, di conseguenza, infinitamente più gigantesca.

Una storia minima dove la macrostoria è mostrata da porte socchiuse (segnatevi a doppio circoletto rosso la sequenza della madre di Maria nel confessionale della chiesa e quella di Félix nella stanza dei bambini) e che, come tutte le storie minime splendidamente raccontate, esula e sfugge allo stesso contesto storico in cui è collocata.

Non è infatti, “Garage Olimpo”, semplicemente un film sulla dittatura argentina e sui desaparecidos.
È molto di più. Un film sulla banalità del male, sull'orrore che vive accanto e dentro di noi, sul rapporto tra vittime e carnefici e, soprattutto, sulla violenza dello Stato contro i cittadini. Non dello Stato argentino nel 1978, ma di ogni Stato, dittatoriale o sedicente democratico, ancora oggi.

Nessun cedimento, nessun compiacimento, nessun patos. Solo la banale, terrificante e spietata, violenza che si fa routine.
Una curiosità: molte comparse sono figli e parenti dei desaparecidos, molti abiti di scena appartenevano alle persone scomparse.
Guardatelo. Per ricordare quando oltre 30mila persone sparivano nei garage.
Per riflettere sull'agghiacciante brutalità dei quotidiani omicidi.



IL LESTO