I SEGRETI DI JIM
(tutta la verità su Jim Morrison)
PRIMA PUNTATA
IL FALSO MORRISON
Se è vero che l’apocrifo e la contraffazione
sono i principali termometri per valutare la celebrità di un
artista, allora possiamo tranquillamente affermare che Jim Morrison,
al secolo James Douglas Morrison, rockstar, frontman dei Doors,
poeta, regista cinematografico, sex symbol, icona incendiaria dei
turbolenti anni ’60, è uno dei più famosi e conosciuti personaggi
del novecento.
Chi scrive appartiene a quella famigerata “X
Generation” che vide la propria adolescenza segnata, agli inizi
degli anni ’90, da un poderoso e inarrestabile ritorno in auge
della leggenda di “Re Lucertola” e della musica dei Doors,
complice anche – e soprattutto – il discusso e controverso film
di Oliver Stone dedicato alla breve, tragica e irresistibile parabola
di Jim Morrison.
Come sempre accade, la
trasformazione di un artista in mito e leggenda genera
inevitabilmente falsi clamorosi, storicizza dati inattendibili d’ogni
sorta, rende credibili dicerie e chiacchiere di comodo. Nel caso di
Morrison poi, leggenda non solo post mortem, ma reso già in vita
essere mitologico, il processo agiografico di allontanamento dalla
realtà è a dir poco decuplicato rispetto ad altri. Per mia fortuna,
ho avuto un accostamento alla musica e alla poesia di Jim assai
precoce, precedente di qualche anno all’epopea cinematografica di
Stone e alla (ri)esplosione della Doorsmania: questo mi ha permesso,
da subito, un atteggiamento leggermente più lucido, consapevole e
critico davanti alle facili celebrazioni e alle immagini fuorvianti.
Questi
appunti sono la sintesi di un mio lavoro più ampio in attesa di una
qualche collocazione editoriale, frutto di un più che ventennale
interesse nei confronti della poesia e della musica di Morrison. Un
lavoro che, personalmente, vorrebbe anche saldare un immenso debito
di gratitudine: come sarà accaduto anche per moltissime altre
persone, devo proprio a Morrison la costruzione esaltante, tra i
tredici e i quattordici anni, della mia prima, rudimentale e
privatissima, libreria letteraria e musicale.
Dalla suggestione e
dalla passione per Jim Morrison e per i Doors, fu assolutamente
naturale che sgorgassero fuori a catena altri stimoli, altri
interessi. Prima di tutto, seguendo le innumerevoli piste di
influenze e rimandi letterari presenti nei suoi versi, mi appassionai
a Jack Kerouac, ad Allen Ginsberg, a tutta la beat generation, a
Rimbaud e ai poeti maledetti francesi, alla tragedia greca, a Godard
e a tutto il cinema della nouvelle vague, a Nietszche, a Spinoza, a
Sartre e all’esistenzialismo; e, ovviamente, alla musica di Hendrix
e della Joplin, a Lou Reed e ai Velvet Underground, ai Jefferson
Airplane, ai Byrds e agli Animals. E chissà quant’altro. Ad ogni
modo, un patrimonio artistico e culturale inestimabile.
Quando nel 1990 uscì
il celebre film di Oliver Stone i Doors e Jim Morrison tornarono
improvvisamente e prepotentemente di moda. L’inquietante e
seducente figura da angelo caduto in pelle nera di Re Lucertola fu
immediatamente innalzata – in maniera assolutamente acritica e
indiscriminata - a icona sacra, feticcio di ribellione, divinità mai
redenta.
Già prima del film, più o meno dai mesi
immediatamente successivi alla sua morte, su Morrison circolavano una
quantità spropositata di aneddoti fasulli sulla sua vita e centinaia
di apocrifi artistici. Dopo che la pellicola di Stone fece il giro
del mondo, la proliferazione di falsi divenne incontrollata e
incontrollabile. La stessa No One Here get out alive (Nessuno
uscirà vivo da qui), scritta da Jerry Hopkins e Danny Sugerman, che
per tutti gli anni ’80 e buona parte dei ’90 fu (a torto)
ritenuta la biografia ufficiale di Jim Morrison, contiene una
quantità imbarazzante di falsità e clamorose inesattezze.
Prima di tutto cerchiamo di capire (e di
chiarire): di che genere e natura sono questi falsi?
Per prima cosa, gli aforismi. Circolano, credo, in
internet, sui diari di scuola, sui muri, qualche discreto migliaio di
aforismi firmati “Jim Morrison”. Io stesso ricordo i diari dei
miei compagni di liceo riempiti fino alla paranoia di questo diluvio
assurdo di citazioni apocrife.
Ci sono aforismi di altri attribuiti,
chissà perché, a Jim Morrison: ad esempio il celeberrimo “Nessuna
notte è tanto lunga da impedire al sole di risorgere”, in realtà
di Yukio Mishima, presente tuttavia a firma di Morrison in ogni
diario liceale, nonché come epigrafe a un immenso murale bolognese
raffigurante il Re Lucertola durante un concerto.
Ci sono poi
aforismi anonimi di una tragica banalità e ingenuità sempre
attribuiti a Morrison, come “piangevo perché non avevo le scarpe,
poi vidi uno che non aveva i piedi” oppure “quando morirò andrò
in paradiso poiché l’inferno l’ho già vissuto quaggiù”.
Se
da un lato chiunque abbia ascoltato una qualsiasi canzone dei Doors
soffermandosi sui testi può benissimo comprendere senza spiegazione
il perché tali frasi non possono essere riconducibili a
Morrison nemmeno lontanamente, è altrettanto chiaro il perché di
tale proliferazione di un Morrison apocrifo.
Dalla notte dei tempi,
la falsa attribuzione è una fastidiosa e quasi inevitabile
conseguenza di un successo travolgente, di un assurgere ai cieli
della mitologia. Si tende, per diffondere, per dare credibilità a un
qualcosa, per infondere sostanza a un proprio gusto personale, ad
attribuirlo all’uomo o alla donna più in voga del mondo. Accadde
anche nell’antichità, a poeti come Omero, Plauto e Virgilio.
Oltre alle canzoni, a una sceneggiatura per un
film, a tre libri di poesia più qualche componimento sparso (alcuni
dei quali letti e registrati su nastro) pubblicati in vita, Morrison
lasciò una quantità imprecisata di taccuini inediti, contenenti
centinaia e centinaia di versi. Nel corso di un decennio (all’incirca
1992-2002), tutto il contenuto di questi preziosi taccuini fu
raccolto e pubblicato grazie alla paziente e certosina opera di
sistemazione di uno dei migliori amici di Jim, Frank Lisciandro.
Grazie a questa operazione oggi possiamo dire di possedere e
conoscere l’intera opera di Morrison: difficile, se non
impossibile, che altri misteriosi inediti saltino ancora fuori.
Tornando ai falsi aforismi, è ovvio che fino qui
restiamo sul piano di apocrifi ingenui e per lo più innocui e
innocenti, ne esistono ben altri assai più seri, se non scandalosi e
pericolosi.
Innanzitutto, la vita di Morrison. Dicevamo prima
come la stessa presunta biografia “ufficiale” sia stracolma di
inesattezze d’ogni sorta. Gli autori di No One Here Get Out
Alive, edita nel 1980, sono Jerry Hopkins, che come giornalista
dell’allora pionieristica rivista musicale “Rolling Stone”
seguì da vicino le sconvolgenti performance live dei Doors, e da
Danny Sugerman, che poco più che adolescente, tra il 1969 e il 1970
lavorò come runner negli uffici della band a Los Angeles.
Il
giornalismo sensazionalistico di Hopkins, e l’immaginario
adolescenziale di Sugerman, diedero anima e forma a un libro
problematico, fuorviante e mitologico in troppi aspetti (si pensi che
a tutt’oggi, gli amici più intimi di Jim, chiamano polemicamente
quel libro “Qua dentro ci sono solo un mucchio di bugie”).
Un
esempio lampante dei suoi discutibili criteri di ricerca (ce ne sono
dozzine, sui quali torneremo più avanti) è come il libro tratta la
figura della giornalista newyorkese Patricia Kennely. Nella biografia
la coppia Sugerman/Hopkins le riserva uno spazio immenso, rendendola,
subito dopo la compagna storica e ufficiale Pamela Courson, l’amore
più lungo e importante di Morrison. L’unica fonte di tali notizie
sono i racconti forniti dalla stessa Kennely ai due autori. La
Kennely racconta di aver incontrato Morrison nel 1967, ai tempi delle
prime esibizioni dei Doors a New York, di averlo amato, di averlo
sposato con una cerimonia esoterica condotta da una sacerdotessa
della setta delle streghe Wicca, di essere rimasta incinta di lui nel
1969 ai tempi del processo di Miami e di aver abortito, di essersi
divertita in più di un’occasione a far perdere la testa a Pamela
per gelosia. La smania di tali aneddoti succulenti (una cerimonia
Wicca con tanto di patto di sangue farebbe gola a qualsiasi biografo
rock) fece sì che l’avventata coppia di autori attingesse a piene
mani ai ben poco attendibili resoconti della Kennely. L’unica fonte
della donna è se stessa, i suoi racconti non trovano conferma (anzi,
semmai, trovano secche smentite) in nessun’altra persona vicina a
Jim, le date non tornano o si sovrappongono ad altri avvenimenti.
Il
loro presunto primo incontro e l’inizio della loro relazione la
Kennely lo fa risalire all’estate del 1967: impossibile, visto che
in quei mesi Morrison, effettivamente a New York, viveva la sua
travolgente storia d’amore con la bellissima chanteuse dei Velvet
Underground, la tedesca Nico.
Questo è ovviamente solo un piccolo
esempio, ma abbastanza decisivo per farci capire come il metodo di
lavoro dei due autori, basato su molte dicerie e nessun riscontro,
abbia finito per costruire una biografia in molti punti fantasiosa e
inattendibile. L’immagine di Morrison esce così distante anni luce
dalla realtà, con la conseguenza terribile che si finisce per
apprezzare, adorare e amare un qualcosa che non esistette mai.
Anche il film di Stone, per molti versi, può
essere inserito nelle opere che hanno contribuito a creare un
Morrison “apocrifo”. Eppure, il regista sembra in buona parte
assolvibile. La sua è una pellicola estrema, che spinge
l’acceleratore al massimo sull’immagine maledetta, eccessiva,
sconsiderata e irragionevole di Re Lucertola. Un film “drogato” e
disturbato, volutamente caotico e surreale. Il Morrison di Stone è
più folle che poeta, più stravagante che artista, più suicida che
sciamano.
Ma si tratta, appunto, di un film. A un film, anche al più
rigoroso ritratto biografico, non si può chiedere fedeltà
filologica. Un film, per sua natura, inventa ed eccede. Nonostante le
esagerazioni e le invenzioni, a differenza della biografia
Sugerman/Hopkins, il film di Stone ha una sua compattezza e logicità
emotiva che finisce per giustificarlo. Nonostante questo, fu quasi
scontato che la pellicola venisse immediatamente sommersa dalle
critiche indignate della cerchia delle persone più legate a
Morrison.
A partire dai tre Doors superstiti, Manzareck in testa,
fino ad arrivare agli amici più intimi come Lisciandro, fu un vero e
proprio diluvio di scandalizzate grida contro lo “stupro
cinematografico alla vita di Jim Morrison”.
C’è tuttavia un
fatto innegabile che giustifica alcune clamorose inesattezze
biografiche del film: all’epoca, 1990, ex Doors e amici intimi di
Morrison erano rimasti per lo più chiusi in un rispettoso silenzio,
facendo così della solita biografia Hopkins/Sugerman e di altri
libri simili, pressoché le uniche fonti a disposizione di Stone. Il
successo planetario del film, e il vespaio polemico che ne scaturì,
fu prima di tutto una sorta di scossa per chi aveva conosciuto Jim e
aveva vissuto in prima persona la magia di quegli anni turbolenti. Di
colpo, subito dopo l’uscita del film, chi era rimasto in silenzio
per vent’anni, iniziò a parlare.
Seguirono anni in cui fioccarono
pubblicazioni, interviste, nuove e sempre più attendibili biografie,
fino ad arrivare alla decisiva, e definitiva, Jim Morrison, di
Stephen Davis.
Frank Lisciandro scrisse anch’egli un libro di
aneddoti, Feast of friends, oltre che a dedicarsi, aiutato dalla
moglie Kathy e dai genitori di Pamela Courson, alla pubblicazione
sistematica di tutti gli inediti di Jim, e anche gli ex Doors si
affrettarono a rendere la loro versione dei fatti, scrivendo ognuno
la loro personale autobiografia.
Questi testi, messi tutti insieme,
restituirono un’immagine finalmente reale, veritiera e più umana
di Morrison, sia come persona che come artista. Nonostante questo, la
maggior parte delle persone resta ancora legata all’idea
“benzedrina&follia”: una rockstar umanizzata fa meno gola,
specie nell’epoca del più becero e sfrenato gossip.
Le falsità sul conto di Morrison raggiungono
tuttavia l’apice riguardo alla sua “misteriosa” morte, che poi
di misterioso (purtroppo?) non ha un bel niente. La morte di
Morrison, a Parigi il 3 luglio del 1971, fu anzitutto una spaventosa
tragedia umana di solitudine e abbandono. Uno scandalo di silenzi e
coperture incrociate che fecero sì che potessero essere ritenute
credibili nel corso degli anni fandonie clamorose come quelle che
vollero Jim morto per un banale infarto (a 27 anni??), oppure, peggio
ancora, che lo vollero ancora vivo, in fuga verso qualche posto
esotico, facendo del suo decesso un’abile messa in scena.
Un abile
e spregiudicato speculatore parigino, Jacques Rochard, pubblicò un
illeggibile libercolo in cui sostiene come Jim Morrison, negli anni
’80, fosse ancora vivo, raccontando dettagliatamente gli incontri
intercorsi tra lui e l’ex cantante. Il fantascientifico libro fu
pubblicato nel 1980, guarda caso lo stesso anno della biografia di
Sugerman e Hopkins, che si chiude stupidamente lasciando intendere
che Morrison abbia inscenato la sua morte.
Rochard si è spinto
ancora più in là: qualche anno dopo ha pubblicato una raccolta di
versi opera, a detta sua, del Morrison post 1971, una scandalosa
accozzaglia di brutte copie del Morrison migliore. Anche
sull’episodio della morte, torneremo in seguito. Perché insieme
agli altri, in questi ultimi dieci anni hanno finalmente parlato i
testimoni delle ultime ore di vita di Jim a Parigi, fornendo un
quadro (quasi) completo di come si svolsero effettivamente i fatti.
Per comprendere cosa realmente fu e cosa realmente
è ancora la poesia di Morrison, occorre dimenticare e mettere da
parte tutte queste leggende. E ripartire dai versi.
Ci siamo tutti? Lo spettacolo sta per cominciare….
(continua... )
I SEGRETI DI JIM vi dà appuntamento VENERDI PROSSIMO, 10 ottobre, con la seconda puntata, "Il primo Morrison".
Vuoi approfondire quanto hai appena letto? Ecco alcuni consigli!
Per lo smascheramento delle "eresie" che circolano sul conto di Jim Morrison ti consigliamo due libri già citati nell'articolo: Feast of Friends, di Frank Lisciandro (ma attenzione, al momento lo trovi solo in inglese, cercalo su Amazon!) e Jim Morrison di Stephen Davies (questo lo trovi tranquillamente in libreria, edizioni Mondadori), più un altro, Riders on the storm, scritto dall'ex batterista dei Doors John Densmore (Arcana Editrice, in libreria dovresti trovarlo, nel caso ordinalo su internet).
Se poi ami le sfide, ti invitiamo a ricercare l'edizione 1991 di tutti i testi delle canzoni dei Doors, tradotta da Tito Schipa ed edita sempre da Arcana, oggi fuori catalogo e fuori commercio. Lì, nell'introduzione, c'è una splendida introduzione di Riccardo Bertoncelli che intervista Frank Lisciandro. Se riesci a trovarla da qualche parte, ne vale davvero la pena.
Anche se spesso impreciso, resta comunque da vedere, se non l'hai già fatto, The Doors di Oliver Stone, con Val Kilmer nel ruolo di Morrison.
Per un confronto, vale comunque la pena leggere Nessuno uscirà vivo da qui, di Hopkins e Sugerman, oggi edita da Kaos, che trovi in qualsiasi libreria fornita.
Se infine hai voglia di farti due risate, il libro delirante di Rochard, Jim Morrison vivo!, oggi lo trovi in libreria sempre edito da Kaos.
Nessun commento:
Posta un commento