LestoLibri
SCRIVERE È
UNA QUESTIONE DI VITA O DI MORTE
Aficionados carissimi,
oggi è il primo agosto ma soprattutto è venerdì,
quindi noi si torna con l'appuntamento settimanale di LestoLibri,
dove io, sottoscritto lestoscrivente in collaborazione con la
cameriera tettona Eularia, vi si parla di scrittori libri e
letteratura. E via dicendo.
La scorsa settimana si è ragionato di John Fante e di come, per essere artisti, occorra “chiedere alla polvere”, e
siccome quel post pare vi sia garbato parecchio, continuiamo col
filone della letteratura americana del '900, sparlottando di un altro
super gigante spesso dimenticato dai manuali e che, come John Fante,
oltre che autentici capolavori, nelle sue opere ci ha pure lasciato
lezioni di scritttura della madonna da ricordare nei secoli dei
secoli. E senza amen.
Stiamo parlando di quel cazzutissimo scrittore, poeta e
saggista che fu Raymond Carver (1938-1988).
Come a gran parte dei numeri uno accade, in vita i suoi
scritti non ebbero la fortuna che meritavano. Così la sua carriera
di scrittore ebbe più saliscendi d'una montagna russa, alternando
improvvisi e brevissimi successi a lunghi momenti d'oblio assoluto.
E vuoi la continua precareità finanziaria (Carver
esercitò soprattutto la professione d'insegnante, ma in determinati
momenti fece i mestieri più disparati per racimolare due soldi),
vuoi la depressione e l'alcolismo, vuoi un'interminabile crisi
coniugale e vuoi soprattutto che Carver appartiene a quel gruppetto
di artisti che parlano non quando vogliono dire qualcosa ma quando
hanno qualcosa da dire, il nostro super scrittore trascorse
anche lunghissimi periodi senza scrivere manco una riga che fosse
una.
Com'è come non è i riconoscimenti, quelli veri, quelli
che ammettono sì, orca trota, Carver è stato uno dei più grandi
narratori del '900, di quelli che ne nascon due ogni cinquant'anni
per capirci, arrivano tutti post mortem.
Da noi in Italia, per vedere la pubblicazione più o
meno sistematica e completa dei suoi scritti, ci tocca addirittura
aspettare fine secolo, 1999 o giù di lì, il tutto grazie a una casa
editrice coraggiosa e donchisciottesca come la Minimum Fax,
che ha fatto di Carver uno dei suoi cavalli di battaglia.
Ad ogni modo, nonostante la Minimum Fax,
nonostante i libri più celebri del nostro Raymond li abbia pure
ristampati Einaudi nelle edizioni de luxe con tanto di
copertina rigida (che non serve a un cazzo, ma fa tanto Einaudi e
quindi costa di più), ancora oggi qui da noi, sempre in Italia, non
è che Carver vada poi tanto per la maggiore.
Il motivo, esimi lettori, credo sia perché Carver in
tutta la sua vita non ha mai scritto un romanzo che sia uno. Solo
racconti brevi, o novelle, o shorts stories che dir si voglia.
Poi poesie che sembrano novelle pure quelle e saggi sul mestiere di
scrivere. Ma romanzi no, mai.
E se nel continente americano, dagli States fino ad
arrivare giù giù nella Terra del Fuoco, la narrativa breve si legge
tantissimo e piace da matti, in Europa e soprattutto in Italia no,
manco per sogno, non si legge e non piace. E di conseguenza non vende
e non si pubblica.
Il motivo di questa disaffezione e di questo sospetto
verso il racconto breve mica l'ho mai capita, che a me le short
stories garbano da impazzire, leggerle e scriverle.
Anche perché se uno sa scrivere da dio lo vedi nei
racconti brevi, mica nei romanzi. Nei romanzi tra digressioni, pause
e saliscendi puoi pure barare, nei racconti no, che lì ti tocca
concentrare tutto in uno spazio piccolissimo, e per farlo bene devi
per forza essere un mostro di bravura.
Prendete, che ne so, Poe, Marquez, Hemingway, i nostri
Buzzati, Calvino, Pirandello. I capolavori di perfezione stilistica
di tutti sti mostri qua son le novelle, mica i romanzi.
E tornando a Carver, che se no ci si dilunga e si perde
il bandolo della matassa (erano sei anni minimo che volevo scrivere
bandolo della matassa e finalmente ce l'ho fatta e son proprio
felice), diciamo senza esagerazione che ci troviamo davanti uno dei
più grandi e straordinari scrittori di racconti brevi che la storia
della letteratura mondiale d'ogni tempo e spazio abbia mai
conosciuto.

Non aspettatevi però, se non lo conoscete e decidete di
leggerlo, cose troppo complesse, tipo l'accavallarsi di intrecci e
situazioni. No, a Carver ste robe qua non piacevano per nulla, per
questo non gli venne manco mai in testa l'idea di mettersi a scrivere
un romanzo.
I suoi personaggi sono umili, spesso disperati e
incapaci di gridarla, sta disperazione, alle prese con la piccola
grande tragedia quotidiana della sopravvivenza, sullo sfondo
asfissiante della provincia americana.
Le situazioni e le vicende sono semplici, banali, quasi
immobili.
In sostanza, nei racconti di Carver non succede quasi
mai niente. Ma è proprio nella materializzazione di questo niente
che sta la grandezza immensa di questo scrittore.
Carver, con la sua lingua così lineare e comune,
la vera lingua della gente comune, ci restituisce come nessuno
il niente assurdo, ma reale e per questo sconvolgente, della
quotidianità di ognuno di noi. Come nessuno riesce a scavare e a
indagare tra le coltri del grigiore della vita di tutti i giorni.

E il miracolo della narrativa di Carver è proprio
questo: parlare di tutto e far accadere tutto parlando di niente e
senza che niente sia accaduto.
Come nel racconto Il bagno, dove un bambino viene
investito il giorno del suo compleanno, e non ci sono strepiti né
apocalissi, solo l'assurda normalità d'una tragedia di provincia,
con i genitori che lo portano all'ospedale senza sapere com'è che
andrà a finire, poi tornano a casa angosciati e preoccupati e si
dicono quelle cose che ci diciamo quando non sappiamo che dire, a
turno fanno un bagno e mentre il padre sta nella vasca squilla il
telefono, la madre risponde e dall'ospedale le dicono qualcosa del
bambino, ma non si sa cosa, e il racconto finisce così, sospeso e
rarefatto com'era iniziato, come sospesa e rarefatta è la vita della
gente comune.
Parlare di tutto parlando di niente.
Quello che dovrebbe imparare ogni artista che ha la
pretesa di dirsi tale e quello che Carver sapeva fare divinamente.
Ché ci son due tipologie di scrittori. Quelli che
scrivono per divertimento, e solitamente mi interessano pochino. E
quelli che scrivono per necessità, e in genere mi piacciono da
impazzire. Perché quando uno scrive per necessità è per forza
vero, sincero, sanguigno nel suo essere tutto senza essere niente.
E leggere Carver, uno tra gli scrittori più veri e
sinceri della storia, vuol dire capire come scrivere, scrivere
veramente, sia sostanzialmente una questione di vita e di
morte.
Sì.
E
cos'è che volevi?
Sentirmi
chiamare amore, sentirmi amato sulla terra.
(Carver,
“Orientarsi con le stelle”)
Le sue raccolte di racconti sono svariate, tutte
pubblicate dalla Minimum Fax, ma quelle edizioni là oggi non
si trovano più, che l'ha ristampato Einaudi a prezzo
maggiorato per via della copertina rigida di cui sopra (stronzi...).
Ve li consiglio tutti-ma-proprio-tutti, ma se proprio
devo restringere il campo ne scelgo due: la raccolta Da dove sto
chiamando?, che un'antologia “all the best” curata dallo
stesso Carver in punto di morte (costa 25 euro, ma secondo me se la
cercate in Internet la trovate a meno), e poi Cattedrale, che
è la raccolta più famosa, che porta il nome di quella che è la sua
novella più celebre, dove un cieco vuol capire com'è che sia fatta
una cattedrale.
Poi il resto non ve lo dico.
Leggetelo. Innamoratevene.
Ne vale la pena. Ma ne vale davvero parecchio.
Una questione di vita o di morte, insomma.
IL LESTO
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splendido, solo che uno a settimana è troppo, non ce la faccio a leggerli tutti non ti sto dietroooooo
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