LestoLibri
L'AMORE È
UN CANE CHE VIENE DALL'INFERNO
Aficionados
carissimi,
eccoci a voi dal
lestobunker con il consueto appuntamento del venerdì dedicato a
libri&letteratura, curato dal sottoscritto lestoscrivente e dalla
bella e prosperosa camierera Eularia (se vuoi saperne di più su
tutta la banda che vive nel lestobunker, clicca QUI).
Ricordandovi che
venerdì prossimo questa rubrica non ci sarà per meritata pausa
di ferragosto (si fa festa pure nel lestobunker, che credete?),
diciamo subito che scrivere quest'articolo che vi apprestate a
leggere è stato difficile. Difficilissimo, santiddio.
Mi diceva la bella
Eularia, che pure spesso mi rimprovera e mi cazzia per la mia
arcinota mania verso la letteratura americana, che dopo aver scritto
di Fante e Chiedi alla polvere, dopo aver scritto dei raccontidi Carver, ero praticamente obbligato a chiudere il cerchio,
la trilogia per così dire, parlando di lui, Charles Bukowski in
carne e madonne. Proprio lui, il vecchio zio Buk.
Non si può fare
altrimenti, diceva la bella Eularia. Non ci sono cazzi, ribadiva il
feroce punkabbestia Brando, che di letteratura non capisce mica un
cazzo, ma se non si asseconda Eularia, di cui è infoiato da sempre,
dà di matto. Ho provato a oppormi, ché io dello zio Buk è meglio
che non parli, ci son troppo dentro con tutte le scarpe, rischio di
sbrodolare frasi patetiche e nostalgiche a ripetizione. Come chiedere
a Bertinotti di parlare di Lenin, in sostanza. Però poi il feroce
punkabbestia, che si vuole fare Eularia da millanta anni, mi ha
puntato il collo di una bottiglia rotta alla gola e alla fine mi son
convinto.

Principiamo e
procediamo dalla fine, anzi dal mezzo, anzi andiamo proprio a cazzo
di cane, ché a un fottuto come lo zio Buk si addice alla perfezione,
il cazzo di cane.
Una domenica
d'agosto del 1980 quella gran donna che rispondeva al nome di
Fernanda Pivano, passò l'intera giornata a casa di Bukowski, allora
domiciliato a San Francisco, per fargli una lunga intervista. Il
burbero e incazzato zio Buk, di solito allergico a operazioni del
genere, quella volta invece si prestò alla cosa mostrando la massima
disponibilità possibile, rispondendo ampiamente a qualsiasi
questione. Ma non c'è da stupirsi. Bukowski mica era allergico alle
interviste, era allergico alle interviste del cazzo, che poi
costituiscono il 99% delle interviste. Ma quella volta, agosto 1980,
dall'altra parte della barricata c'era Fernanda Pivano, mica cazzi,
l'unica critica letteraria a quanto mi risulti a essersi occupata di
scrittori e poeti sempre e soltanto per il puro gusto di farlo,
l'unica che non ha mai intervistato qualcuno in occasione dell'uscita
di un libro. L'unica e sola.


Se poi preferisci
provare lo stesso, scrivere quando non sai cosa scrivere,
allora butta pure via i libri di Bukowski, iscriviti alla scuola
Holden, scrivi cazzate, diventa un uomo di successo. E vivi felice e
contento.
Nei suoi racconti e
nelle sue poesie lo zio Buk ha letteralmente frugato nella merda del
mondo, rovistato negli anfratti più merdosi dell'universo. A chi gli
chiedeva la sua posizione su grandi tematiche sociali, a chi gli
rimproverava di non essere uno scrittore abbastanza impegnato,
lui rispondeva ruttando. L'unica risposta possibile, visto che è
puro terrorismo chiedere a uno scrittore di essere qualcosa di
diverso da se stesso, visto che nessuno è stato scrittore di
denuncia più di Bukowski. Denuncia umana, esistenziale, politica
e sociale. E chi più ne ha più ne metta.
Una denuncia fatta
sempre e comunque partendo da se stesso, dal suo mondo, da una
maschera gettata via per raccontarci ogni cosa senza vergogna. Che è
quello che fa ogni santo genio gigante che iddio decide di mettere in
terra.
“Quello
che mi importa è andare a piedi fino all'angolo e comprare il
giornale e leggere di uno stupro avvenuto in strada. O di una rapina
in banca e magari andare a fare colazione da qualche parte e bere una
birra e andare in giro e guardare un cane o grattarmi sotto le
ascelle. Non mi interessano i grandi problemi”.
Ed è proprio di
queste passeggiate fino al giornalaio, delle colazioni innaffiate di
birra, di cani che smerdano i marciapiede, di pomeriggi fatti di
ascelle grattate, che ci parla sempre Bukowski, nei racconti e nelle
poesie. E, parlandoci di questo, ci svela l'universo.
Ha scritto
tantissimo e incessantemente, Buk. Pochi romanzi, ma diluvi di
racconti e oceani di poesie, opere per la maggior parte pubblicate
con case editrici minuscole, negli anni fallite, sparite. Decine di
poesie uscite su riviste underground scomparse (leggenda vuole che
Bukowski spedisse alle riviste non una singola poesia, ma interi
scatoloni di versi, cinquanta poesie alla volta). Centinaia di
edizioni, riedizioni, stessi racconti e stesse poesie in libri
diversi. Impossibile bilbiografare Bukowski, c'è da impazzire, ma va
bene così.

Cinquanta e passa
poesie d'amore e vita vera grondanti sangue dalla prima all'ultima
riga. Da cosa si riconosce un vero poeta? Dal sangue che grondano i
suoi versi. E questi versi sanguinano, santiddio se sanguinano.
Sanguinano e ovunque è amore, ché l'amore sì, certo che sì, è
proprio un cane che viene dall'inferno, abbaia, morde, sbrana,
incendia, brucia.
Sono poesie che
fanno male, molto male, come tutte le cose vere. C'è tutto
l'universo dello zio Buk, dentro questo libro: vagabondi, ubriaconi,
reietti, bar, strade desolate, metropoli infernale, corse di cavalli,
prostitute, donne bellissime. Vita e amore, insomma:
Io so che una
notte/ in qualche camera da letto/ presto/ le mie dita/ scivoleranno/
tra/ morbidi capelli puliti// canzoni/ che nessuna radio/ trasmette//
tutte tristezza/ sogghignando in cascata (Bukowski, “Assaporeremo
le isole e il mare” da “L'amore è un cane che viene
dall'inferno”)
L'America che non ti
aspetti, l'America degli ultimi in cui giganteggia proprio lui,
l'autore, ultimo tra gli ultimi, disperato tra i disperati, reietto
tra i reietti:
abbiamo
parlato ancora un po'/ poi ho detto addio/ ho riappeso/ sono andato
al cesso/ ho cagato un brodo merdoso/ pensando soprattutto, be'/ sono
ancora vivo/ e ho la capacità di espellere/ dal mio corpo residui/ e
poesie/ e finché questo accade/ ho la capacità di maneggiare/
tradimento/ solitudine/ pipite/ scolo/ e i servizi economici/ sulla
pagina finanziaria (Bukowski, “Me” da “L'amore è un cane che
viene dall'inferno”)
Poesie splendide,
queste qua, confessioni disperate, novelle in versi scritte con la
lingua della pancia, in uno stile ineguagliabile e irriproducibile.
Cinquanta e passa
“grattate di ascelle” pazzesche e meravigliose. Ché i latini, il
grattarsi d'ascelle dei poeti lo chiamavano otium e oggi si
studia a scuola. Bukowski no, non si studia a scuola. Troppo sbronzo,
troppo sboccato. Impresentabile. Peccato, ci sarebbe da imparare un
oceano, tra questi versi.
L'amore
è un cane che viene dall'inferno è
un libro da leggere assolutamente, spero di avervi convinto. Edizioni
Guanda, costa appena 10 euro. Capace però che vi tocchi ordinarlo,
che in libreria può darsi non lo troviate, che della poesia oggi
come oggi non frega un cazzo a nessuno, della poesia vera
non frega proprio un cazzo a
nessuno, dentro e fuori la scuola.
Lo diceva anche lo
zio Buk, sempre in questo libro, che “quel pugno di/ ottusi/
incapaci di esprimersi/ prudenti/ tetri/ ammiratori/ di carnevalate”
non vuole la poesia, ma vuole soltanto lo show, lo spettacolo,
vuole “l'orecchio di van gogh rifiutato/ da una troia;/ Rimbaud
che scappa in Africa/ a cercare oro e trova/ un caso incurabile di
sifilide;/ Beethoven diventato sordo;/ Pascal che si taglia i polsi/
nella vasca;/ Artaud rinchiuso coi matti;/ Lorca fucilato per strada
da una milizia/ spagnola” (Bukowski, “Cosa vogliono” da
“L'amore è un cane che viene dall'inferno”).
E basta così.
Comprate se volete questo libro da due soldi. Altrimenti spendetene
tanti, di soldi, e iscrivetevi alla Holden.
Io non ho più
niente da fare&dire&scrivere, se non che voglio dedicare
questo articoletto a Carlo Monni, che amava Bukowski e lo ha letto e
interpretato come nessuno al mondo, ché lo zio Buk l'hanno letto
cani e porci, ma il grande Carletto Monni aveva capito tutto mentre
la maggior parte del mondo non ci ha davvero capito un cazzo.
Più niente da
fare&dire&scrivere, solo pensare ancora a Buk, a Carlo Monni,
piangere come ogni volta che penso a Buk e a Carlo Monni, all'affitto
da pagare, alle donne col culo alto, alla lotta per arrivare a fine
mese, a questo cielo così azzurro, alle birre ghiacciate, ai
piccioni che snidano sopra la mia finestra.
Alla vita. Come
sempre, alla vita.
IL LESTO
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